REGGIO EMILIA – “Con le sue dichiarazioni è uscito dal gruppo: è questa la cosa importante ed è questa la novità”. Le parole del fratello di Saman in ore e ore di deposizione costituiscono quindi un elemento piuttosto dirompente secondo Ahmad Ejaz, giornalista e mediatore culturale che si è occupato e si sta occupando del caso della 18enne uccisa la sera del 30 aprile 2021.
Il fratello minore della giovane è stato la figura chiave delle indagini e si è rivelato adesso una figura chiave del processo, nonostante il passaggio della sua condizione da teste a possibile indagato per lo stesso omicidio della sorella. Tra le dichiarazioni diverse fatte nel corso di questi 30 mesi e le contraddizioni che gli avvocati difensori hanno cercato di far emergere, il ragazzo in aula ha comunque accusato tutto il gruppo. Un gruppo di cui lui stesso, sottolinea il mediatore culturale, ha fatto parte: da lì il particolare significato simbolico delle sue dichiarazioni.
Il processo ruota attorno al suo racconto, tra chi lo giudica non credibile, come Liborio Cataliotti, l’avvocato dello zio della ragazza, e chi, come Barbara Iannuccelli, legale del fidanzato di Saman, valorizza la descrizione della sera del delitto fatta dal giovane. Una frase pronunciata dal ragazzo ha colpito: “Oggi mi sento italiano”. “E’ confuso, si è fatto terra bruciata intorno. Ha detto così perché rinnega la cultura pakistana, perché è doloroso per lui”.
Nei suoi racconti, il fratello di Saman ha detto che quella sera la madre guardava. La donna è ancora latitante. Non è una sorpresa per Ahmad: “Avevo detto che avrebbero consegnato il padre, ma non la madre. Il Pakistan non consegnerà una donna casalinga, altrimenti ci sarebbero problemi religiosi e contestazioni”. Infine, un appunto: ci vorrebbe la presenza di mediatori culturali in aula oltre agli interpreti, dice il giornalista. “Questo è un processo tra italiani, servono mediatori che conoscano la nostra cultura e quella italiana”.
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