REGGIO EMILIA – Il padre lo ha minacciato, intimandogli di fargli vedere le chat tra la sorella e il fidanzato, altrimenti lo avrebbe “appeso nelle serre”. Poi Saman che è andata in bagno e che quando è uscita ha avuto un litigio con i genitori perché voleva andarsene da casa. E nel frattempo di nuovo il padre, che ha chiamato qualcuno dicendo di “stare attenti alle telecamere”. “Ho visto tutto. Io ero alla porta. Mia sorella camminava, mio zio l’ha presa dal collo e l’ha porta dietro alla serra. Ho visto i cugini, solo la faccia. E mia mamma guardava”.
Frammenti del 30 aprile 2021, come sequenze terribili di un film, raccontati dal fratello della 18enne uccisa quella stessa sera. Seppure ripreso dalle telecamere dell’aula, il ragazzo era dietro un paravento. Per evitare che incrociasse, col suo sguardo, gli occhi dei parenti presenti, del padre e dello zio in particolare, coloro dei quali “avevo paura”, ha detto. Ma la paura, questa volta, il fratello di Saman l’ha messa da parte.
Non possiamo dire che piega avrebbe preso il processo se il neo 18enne avesse deciso di non parlare, dopo il cambiamento della sua condizione da testimone a possibile indagato; se avesse optato per quel “mi avvalgo della facoltà di non rispondere” perché non è successo. Tra tanti “non so” e “non ricordo”, tra i momenti di commozione davanti a video proiettati in aula, il ragazzo ha risposto alle domande degli avvocati difensori degli imputati, in particolare Luigi Scarcella e Liborio Cataliotti, e a quelle della Corte: “Voglio dire tutta la verità”, ha detto.
A ora – ha comunicato la presidente Cristina Beretti – il giovane non è indagato per un eventuale coinvolgimento dell’omicidio della sorella, la procura dei minori sta valutando gli atti. In ogni caso, il suo avvocato Valeria Miari ha rimesso il mandato come parte civile sia per il giovane sia per l’Unione dei comuni, per evitare un’ipotetica incompatibilità.
Nelle precedenti dichiarazioni, rese nulle dall’ultima ordinanza della Corte, il 18enne aveva sempre indicato lo zio come esecutore materiale del delitto; ma è emerso chiaramente come fosse in contatto con i genitori quando già questi erano latitanti in Pakistan. “In passato affermò che i suoi cugini non c’entravano nulla”, gli ha chiesto Luigi Scarcella, difensore di Nomanulhaq Nomanulhaq. “Ho detto una bugia perché mio padre mi disse di farlo, mi ha detto di non dire niente, mi ha costretto lui – ha risposto lui – Da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio”.
Alla domanda se qualcuno gli avesse detto che Saman era stata seppellita ha risposto che “sì, me lo aveva detto Noman”, intendendo Nomanulhaq. “Gli avevo chiesto io, perché volevo abbracciare mia sorella. Ma l’ho chiesto anche allo zio, prima di partire per Imperia”. Al porto ligure il ragazzo era stato fermato e condotto in un luogo protetto. “Non ne parlai ai carabinieri perché non mi dissero di preciso dov’era, solo che era sotto terra. E sempre per la questione di mio papà, avevo paura di lui. Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che parlava di ‘scavare'”. E alla domanda su chi facesse questi piani, il 18enne ha risposto: “Noman, papà, mamma e altri due: Danish e Ikram”. Ovvero, i cinque imputati per l’omicidio di Saman.
Reggio Emilia omicidio saman abbas interrogatorio fratello saman processo saman abbas









