NOVELLARA (Reggio Emilia) – Hanno deciso insieme che lei tornasse a casa, a Novellara. “Sapevamo che la sua vita era in pericolo: Saman mi diceva che per i suoi famigliari uccidere le persone non significa niente, ma non c’erano alternative, doveva andare a prendere i documenti, ci servivano per sposarci“. Nel primo pomeriggio, Saqib Ayub, che nel processo è parte civile, ha deposto nell’aula di Corte d’Assise, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua relazione con Saman. La conoscenza via social su Tik Tok a fine 2020 e quattro incontri tra metà gennaio e aprile 2021, a Bologna, dove la ragazza all’epoca viveva nella comunità protetta, e Roma, fino all’ultimo messaggio che i due fidanzati si sono scambiati la sera del 30 aprile di due anni fa, poco prima che la 18enne venisse uccisa. Nella Capitale quei nove giorni d’amore, dal 12 al 21 aprile, quando i due decisero di convolare a nozze. La madre di Saqib avrebbe pensato a far arrivare un vestito da sposa per Saman, ma mancavano i documenti. Sollecitato dagli avvocati degli imputati, in particolare Maria Grazia Petrelli, Liborio Cataliotti e Luigi Scarcella, che gli hanno chiesto se fosse stato lui a spingere Saman a tornare a casa, il 23enne ha ribadito che la decisione fu di coppia. Non sono mancati i momenti di forte impatto, come quando in aula è stata fatta sentire la voce della 18enne: “Ti voglio dire tutto, ma adesso no”, dice Saman con un filo di voce a un’educatrice della struttura di Bologna che le chiedeva perché fosse tornata a casa.
“Simplicity”, ‘semplicità’, la scritta sulla t-shirt del 23enne, che ha scelto di non farsi riprendere o fotografare. Nessuno scambio di sguardi col padre di Saman, che il ragazzo aveva denunciato a febbraio 2021 per minacce nei confronti della sua famiglia in Pakistan. La famiglia della ragazza osteggiava quella relazione.
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