REGGIO EMILIA – Una video cantata e un dialogo immaginario: due appuntamenti per chiudere il Festival Aperto con un doppio omaggio a Pier Paolo Pasolini, nel centenario della sua nascita.
In nomine PPP, è una video-cantata in scena al Teatro Cavallerizza sabato 19 novembre, ore 20.30, scritta dal compositore Stefano Gervasoni per 8 voci e 16 musicisti su testi di Pier Paolo Pasolini, appositamente selezionati da Roberto Calabretto, che vuole essere un omaggio all’opera del grande artista e intellettuale italiano, prima ancora che alla sua figura, alla sua biografia e al ruolo politico-culturale da lui vissuto in prima persona all’interno della società italiana e europea degli anni ‘60 e ’70. Un lavoro musicale in aperto dialogo con la storia, in particolar modo con l’opera di Josquin Desprez – sui temi del lamento, del compianto per la perdita di una persona, della deplorazione – che guarda al futuro attraverso il mezzo tecnologico con il contributo video originale di Paolo Pachini.
In omaggio alla visione antropologica di Pasolini, il video presenta immagini poetiche ed esemplari dell’umano e della natura, poste in opposizione ai flussi mediatici contemporanei, esplorati e trasformati a loro volta dall’occhio della videocamera. “Attraverso la musica – scrive Gervasoni – desidero mettere l’accento sui contenuti e sui valori dell’opera letteraria e cinematografica di PPP, sottolineandone l’acuità, la profondità, l’attualità e in particolare la visionarietà profetica e la capacità d’interpretare, anticipandone poeticamente gli esiti socio-culturali, l’evoluzione antropologica di un mondo sempre più soggetto al dominio della tecnologia, della massmediatizzazione e della semplificazione ideologica del capitalismo e dei movimenti politici che al pensiero globalizzante del capitalismo hanno tentato di creare un’alternativa. Vorrei in particolare affrontare il nodo concettuale del rapporto tra barbarie e civiltà, al centro della visione pasoliniana”.
“L’omaggio a Pasolini – scrive Paolo Pachini – vuol essere dunque un ritrovare relitti di poesia fuori e dentro la tempesta delle immagini contemporanee, fuggendo in un altrove senza luogo, ma anche immergendomi in essa col sentire estraneo di un escluso. Fiducioso che lo sguardo dall’esterno generi visione. Essere in definitiva me stesso e quindi, per dirla con Lui: “non avere alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore (i.e. spettatore) che io considero del resto degno di ogni più scandalosa ricerca”.
Con Ensemble Vocale Company of Music, Ensemble Phace, direttore Nacho de Paz. Marco Baliani porta alla Sala degli Specchi del Teatro Municipale Valli domenica 20 novembre ore 11.00, nell’ambito di Finalmente Domenica il suo “Corpo eretico”, dialogo immaginario con Pier Paolo Pasolini.
“Andrò in pellegrinaggio sulla scarna tomba di Pasolini a Casarsa della Delizia, dove è sepolto vicino alla madre. È così – scrive Baliani – che vorrei cominciare il mio dialogo con lui, come un tempo si faceva andando a far visita ai sepolcri dei grandi, quelli che in vita hanno profuso doni a piene mani, generosamente dissipatori, e che anche da morti continuano a parlarci. A parlarmi. Ho così tante cose da chiedergli su di noi, sul tempo trascorso dalla sua dipartita, sulle mutazioni avvenute, su quello che aveva intuito e su quello che aveva travisato, sui contrasti tra lui, il suo corpo, sempre al centro del suo agire, e il mondo intorno, sulle mancanze, sulla sua mai esausta vena pedagogica, sui suoi scritti pirateschi, sul suo giornalismo anomalo.
Vorrei inserirmi con la mia storia e le mie contraddizioni. Non mi aspetto che mi sveli chissà che arcani pensieri, no, ma che riposandomi lì, in quella quiete, stando in ascolto, senza aspettative, possa districare o distendere gomitoli di pensieri e pulsioni che la sua opera e il suo percorso di vita hanno continuamente intrecciato in me e che ancora sono lì, assai aggrovigliati. E che forse resteranno tali, ingarbugliamenti necessari a non risolvere le cose del mondo ma a complicarle. A vederle da angolazioni inaspettate”.











