REGGIO EMILIA – Ergastolo con due anni di isolamento diurno per il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen. Trent’anni per lo zio Danish Hasnain e i cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz. Sono le richieste di condanna della Procura di Reggio Emilia per gli imputati nel processo sulla morte di Saman Abbas: le ha formulate la pm Laura Galli, al termine della requisitoria dell’accusa, iniziata alle 9.30 del mattino e conclusa alle 19.30. La Procura chiede la condanna per omicidio e soppressione di cadavere, l’assoluzione per il sequestro di persona.
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La formulazione delle richieste di pena arriva dopo dieci mesi di processo e al termine di una lunga udienza che era stata aperta dal procuratore capo Calogero Paci, il quale nella requisitoria ha sottolineato la necessità di una sentenza “che abbia un senso restitutorio dell’oltraggio alla vita che è stato compiuto attraverso un barbaro e brutale omicidio”. Un delitto che non ha suscitato espressioni sincere di pietà da parte degli imputati.
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Sotto i riflettori sono tornati gli ultimi istanti di vita della 18enne e i giorni appena precedenti alla sua scomparsa. “Qui non c’è una prova regina, non c’è la prova del momento in cui Saman Abbas viene uccisa”.
Mancanza della cosiddetta “pistola fumante” ma allo stesso tempo una mole di elementi raccolti tale da rendere inattaccabile la proposta di sentenza che arriva dall’accusa, ha sottolineato Paci. Tra le prove incontrovertibili la pala di colore blu utilizzata per scavare la fossa nella quale nascondere il cadavere. Un attrezzo trovato nella casa dove abitavano i cugini e lo zio della vittima. “Riteniamo che questa sicura attribuibilità già metta la firma all’omicidio”.
Paci, ma anche il pm Laura Galli, si sono soffermati molto sulle condizioni di segregazione in cui viveva la ragazza, che coltivava invece un forte desiderio di libertà, tale da farle rifiutare il matrimonio combinato con un cugino in Pakistan e da farle cercare una relazione sentimentale con un altro ragazzo, una relazione che lei vedeva come unica via di fuga. Per il fatto di essere destabilizzante nei confronti del sistema di valori degli Abbas, “la pazza” come la definiva la madre, è stata uccisa. In un contesto che Paci ha paragonato a quello di una ‘ndrina calabrese.
Vittima delle stesse dinamiche da cosca mafiosa è il fratello di Saman, una figura “sopravvalutata dalla difesa” ha detto il procuratore riferendosi i tentativi di sminuire la versione dei fatti fornita dal giovane, la cui testimonianza oculare è stata al centro del recente sopralluogo a casa Abbas.
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