REGGIO EMILIA – “Credo che capiremo molto questa settimana. Spero non serviranno tensostrutture, ma se i numeri dovessero crescere…”. La dottoressa Anna Maria Ferrari lascia in sospeso la risposta, ma il finale è chiaro ugualmente. La sfida è quella di continuare a cercare l’equilibrio tra la gestione dei pazienti Covid e le altre patologie, che sono tante. Ma è ardua. La responsabile del dipartimento Emergenza urgenza dell’Ausl, nonchè presidente dell’Ordine provinciale dei medici, ultimamente non è uscita molto dall’ospedale, ma un’idea di quello che accade all’esterno se l’è fatta: “Quando vedo gli assembramenti mi chiedo, ma hanno
capito?”.
L’interrogativo è retorico, ma non del tutto. Terrorizzare a caso non serve, ma non serve nemmeno rincuorare a caso. “L’aria fresca, i raggi ultravioletti, il caldo… in estate sono stati dati messaggi troppo tranquillizzanti e fuorvianti che hanno fatto calare l’attenzione”.
Questo per quanto riguarda il passato. Il presente parla di un calo di circa il 20% nei pronto soccorso reggiani degli accessi dei codici di minima gravità, ma dice anche che il 16% di chi entra è Covid. Nelle ultime due settimane sono state diagnosticate 340 polmoniti, 260 delle quali ricoverate.
Al Santa Maria Nuova la Pneumologia è totalmente Covid, la Lungodegenza lo è per metà così come la Medicina II. Da qualche ora è stato ricavato uno spazio Covid anche nella Medicina III.
Tra i degenti c’è forse ancora più sconforto di quanto non ce ne fosse nella prima fase: “A marzo c’era la sorpresa, adesso chi entra sa che potrà anche non uscire: gli anziani hanno molta paura”.
Servirebbe un lockdown totale? “Forse potremmo cavarcela anche con qualcosa di meno ma dipende anche dalle regioni vicine”.
Quello che è certo è che a giugno, a far scendere i contagi, non è stato il caldo: “A 15 giorni dalla fine del lockdown ci fu il crollo delle complicanze: questo vuol dire meno morti”.
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