REGGIO EMILIA – Venerdì 12 aprile, in coincidenza con la convocazione dei comizi elettorali, sono entrate in vigore anche le disposizioni di applicazione della par condicio. In questa fase – e fino al voto del 9 giugno – gli amministratori pubblici non possono svolgere attività di comunicazione, cioè non possono essere intervistati dalle tv nazionali e locali o rilasciare dichiarazioni. Non ha importanza che siano candidati o no, non fa differenza se nel loro comune o nella loro regione non si vota per rinnovare gli organismi elettivi. Non possono essere intervistati. Punto.
La preoccupazione che sta alla base del provvedimento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che si ripete ogni anno elettorale dal 2000, è facile da comprendere: approfittando del ruolo che rivestono, gli amministratori pubblici, con le loro parole, potrebbero condizionare il voto degli italiani. Immaginate l’effetto che un’intervista del sindaco di Villa Minozzo, una dichiarazione del suo collega di Rolo o una presa di posizione dell’assessore di Poviglio potrebbero avere sulla libertà del voto.
Due giorni prima dell’entrata in vigore della par condicio, il 9 aprile, la Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai ha però approvato con i voti della maggioranza due emendamenti al regolamento varato dall’Agcom. Il primo stabilisce che gli interventi di ministri e sottosegretari nei tg non vanno conteggiati nella par condicio, il secondo garantisce che nei programmi di approfondimento i telespettatori siano informati sull’attività del Governo.
Quindi nei prossimi due mesi il sindaco di Baiso, per fare un esempio, non potrà parlare su Telereggio dei problemi e delle attività del suo paese, così impara a tentare di condizionare il voto, mentre il capo del governo e i suoi ministri potranno parlare sulle reti nazionali della loro attività. Evviva! La libertà del processo elettorale da interferenze indebite è salva!
Così viene regolata l’informazione nel nostro Paese.