REGGIO EMILIA – Due anni fa moriva una ragazza italiana. “Italian Girl” era il nome scelto da Saman Abbas per i suoi profili social, quelle “uniche finestre sul mondo”, hanno detto alcuni testimoni in aula raccontando gli ultimi mesi di vita della 18enne pakistana uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021.
Mentre nella comunità della Bassa e in tutta la provincia crescevano lo sdegno e le domande, il suo corpo giaceva sotto tre metri di terra in un casolare abbandonato poco distante da casa. Ecco, in questo secondo anniversario quel corpo c’è, nessuno può più mettere in dubbio che la 18enne sia stata uccisa – strangolata, secondo i primi accertamenti – a cominciare dai cinque famigliari imputati per il suo omicidio.
“Mai più Saman”, questo l’impegno che il territorio si è assunto due anni fa. L’associazione Nondasola, che è parte civile nel processo rappresentata dagli avvocati Giovanna Fava e Federica Riccò, porta nelle classi la vicenda. Il gruppo formazione in 25 anni di attività ha incontrato 15mila studenti di medie e superiori, 2.800 in questi due anni, e il tema dei matrimoni forzati emerge da tempo. Riccò è anche presidente dell’associazione. “C’è più attenzione, l’esito infausto della vicenda Saman fa vedere fin dove una situazione può arrivare”, le parole della presidente dell’associazione, Riccò. E’ indispensabile, ha aggiunto, l’attenzione altissima da parte delle scuole. “Ci chiedono la soluzione qual è, ma non è semplice: ci sono di mezzo i genitori, le ragazze sono minorenni. Senz’altro il gruppo formazione insegna a tenere le antenne dritte anche ai compagni. Queste ragazze, dopo la scuola dell’obbligo, rischiano di diventare fantasmi, magari si iscrivono alle superiori ma non frequentano. Questo secondo me è già un segnale”.
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