REGGIOLO (Reggio Emilia) – Il disgusto per le violenze fasciste può sconvolgere perfino un commissario prefettizio, podestà del regime. E’ quanto avviene il 17 settembre 1944 a Reggiolo, dopo l’eccidio di quattro civili innocenti da parte di un reparto della Brigata Nera guidato dal segretario federale Gugliemo Ferri, qui ritratto a Cremona, qualche mese dopo, mentre riceve il sacramento della comunione. Protagonista dell’episodio reggiolese, nei venti mesi di violenze della Repubblica di Salò, è Augusto Nasuelli, che si suicida dopo aver assistito alla fucilazione per rappresaglia dei quattro concittadini.
La calata del manipolo di camicie nere a Reggiolo avviene dopo che in uno scontro a fuoco nella notte del 16 settembre hanno perso la vita due militi della Brigata Nera. Il federale Ferri, appena insediato a Reggio, vuol mostrare il pugno di ferro. Sono arrestate 30 persone. Quattro di loro sono scelte per la fucilazione per rappresaglia. Gli uccisi sono Antonio Angeli, dottore in agraria; l’ingegner Erminio Marani, l’avvocato Massimiliano Polacci e il tenente colonnello in congedo Giuseppe Sacchi. Sono esponenti della borghesia locale, estranei al movimento partigiano, ma con la colpa per il gerarca di non aver aderito al fascismo repubblicano. Il paese è in subbuglio, gli abitanti maschi si allontanano dalle proprie case per timore di nuove rappresaglie.
Il giorno dopo il commissario prefettizio si toglie la vita sparandosi un colpo di pistola nel giardino della sua abitazione. In un biglietto motiva il gesto con “l’impossibilità di sopravvivere al dolore”. Il quotidiano “Il Solco fascista” si preoccupa subito di manipolare l’informazione parlando del suicidio come reazione al tradimento della patria e all’uccisione dei due giovani camerati. Sarà il figlio di Nasuelli, Eugenio, a ristabilire la verità, chiamato nel dopoguerra a testimoniare al processo contro Guglielmo Ferri.
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