REGGIO EMILIA – Dopo l’omicidio di don Umberto Pessina, il 18 giugno 1946, si mette in moto la macchinazione investigativa di un capitano dei carabinieri, Pasquale Vesce, sostenuto e incalzato dal vescovo Beniamino Socche, che porta in carcere come mandante dell’omicidio il sindaco di Correggio, Germano Nicolini, eroico comandante partigiano. Lo stesso succede ad Egidio Baraldi, già vice-commissario della brigata partigiana della pianura, arrestato come mandante dell’omicidio del capitano Ferdinando Mirotti, che avviene a Campagnola il 20 giugno, due giorni dopo quello di don Pessina. Sia Nicolini che Baraldi sono processati e condannati. Entrambi sono innocenti.
“Loro sono le vittime di questa logica dello Stato che mira a colpire il nemico partito comunista, il comunismo, e d’altra parte del loro partito che, per ragioni di partito, decide lucidamente di sacrificarli in questa logica di scontro. Sono figure che finiscono stritolate da questo conflitto, da questi avvisi di guerra fredda” . Così lo storico Massimo Storchi.
Baraldi sconta sette anni di carcere, Nicolini 10 anni, assieme a loro sono condannati altri innocenti, mentre i veri colpevoli sono fatti espatriare dal partito comunista. Entrambi per anni gridano la loro innocenza e si battono per una revisione dei processi.
“Baraldi in particolare nel 1985 pubblica il suo libro ‘Nulla da rivendicare’ in cui racconta tutta la sua vicenda, e questo libro ha una vita difficilissima perché il partito comunista in alcuni dei suoi esponenti fa di tutto perché questo libro non esca. La stessa cosa per Nicolini, che pubblica il suo memoriale nove anni dopo e anche quello è accolto già un po’ meglio perché nel frattempo era caduto il muro di Berlino”, chiosa Storchi.
La Corte d’appello di Perugia assolve e riabilita Germano Nicolini nel 1994. La sentenza assolutoria per Egidio Baraldi arriva nel 1998.
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