Partiamo da una domanda semplice e complicatissima: chi è Dina Buccino? Non l’artista, la persona.
Sono nata in un paesino di montagna della provincia di Foggia: Bovino. Mio padre si è ubriacato dal dispiacere perché era nata una femmina e sua madre, mia nonna, ha pronunciato brutte parole, che non sto a ripetere. Io avrei dovuto chiamarmi Carmela, come la nonna, ma a causa delle parole pronunciate, la levatrice (allora si partoriva in casa) ha detto a mia madre: “Il nome se lo è portato dietro”. Sono nata il giorno della festa patronale di Bovino, che è la festa della Madonna di Valleverde, per cui all’anagrafe sono Valleverde Buccino (Valleverde il nome e Buccino il cognome), poi Valleverde si tramuta in Valleverdina e per tutti sono diventata Dina. A tre anni faccio il viaggio per il Nord, destinazione Mariano Comense, poi la Mamma si ammala e decidono di farmi entrare in orfanatrofio a Barlassina, dalle suore. Due anni in orfanatrofio, ricordo: mangiare le gallette della guerra, il bagno in una sala da 6 vasche, i fazzoletti da lavare e soprattutto lo stare in ginocchio a mettere le lettere dell’Alfabeto in ordine. La mia disperazione arrivava alla lettera ‘q’ che non sapevo mai dove porre e fino a quando non lo facevo correttamente, dovevo restare in ginocchio. Le suore mi hanno dato gli strumenti per studiare (i miei genitori erano analfabeti) ed io ho sempre considerato lo studio e la cultura molto importanti. A sette anni approdo una prima vota a Reggio Emilia e abito vicino al Tiro a Segno. Il 7 luglio del 1960 ho udito perfettamente gli spari che provenivano dalla piazza. Poi la mamma si riammala e torno a Bovino fino a 11 anni, poi nuovamente e definitivamente a Reggio Emilia, dove, dopo anni, la famiglia si riunisce, ma è qui che cominciano i problemi. Io, adolescente al Nord, sono costretta a vivere rinchiusa perché mio padre non voleva che uscissi e che studiassi perché una donna troppo istruita e intelligente non avrebbe trovato marito. A casa, quando si mangiava, partivano le litigate. Se mancava qualcosa in tavola, io mi dovevo alzare e non mio fratello. Al terzo ordine di alzarmi, ribattevo: “Chiedilo a mio fratello”, e mio padre “No, devi andarci tu” e io non mi alzavo. Allora mio padre mi diceva “Smetti di mangiare” e io mi alzavo e non mangiavo. L’ingiustizia quotidiana dell’essere costretta ad alzarmi da tavola mentre mio fratello no, semplicemente perché io ero femmina e lui maschio, è il seme del mio femminismo, altro non è che una battaglia di giustizia ed equità.
Sulla rete Linkedin ti presenti come “Maestra presso Arscomica”. Raccontaci di più e spiegaci perché usi la parola “maestra” e non insegnante, docente?
Alle superiori ho frequentato le magistrali e io come titolo sono maestra. Quando mi sono iscritta a Linkedin (per curiosità, non per cercare lavoro) ho scritto che sono Maestra presso Arscomica. Mi rendo conto che il significato di Maestra è quello di una insegnante di scuola elementare mentre il titolo di Maestro, di cui si fregia Antonio Fava, è molto più importante, Maestro è colui che possiede l’Arte e la divulga. Ben diverso dal titolo di Maestra o Maestrina, riduttivo, dell’insegnamento.
Quello che dici è vero, ma forse è il tempo di dare eguale dignità alla parola “maestra”! Con Antonio Fava, tuo marito, ma anche “maestro” noto a livello internazionale come autore, attore, registra teatrale di Commedia dell’Arte, il sodalizio è anche professionale. La commedia dell’arte è un genere determinante per la tradizione italiana, ma quanto è conosciuta e seguita?
Con la nostra compagnia e gli spettacoli di Commedia dell’Arte abbiamo fatto e facciamo tournée in tutto il mondo. Con La Flaminia rapita, dove recitavano anche i nostri figli Marcella di 12 anni e Ferruccio di 6, siamo stati in tournée un mese fra Giappone e Hawaii. Antonio è chiamato a insegnare la Commedia dell’Arte in tantissime università americane sia negli Stati Uniti, che in Canada e in Sud America, Colombia, Ecuador, Cile, Argentina. A Buenos Aires è pubblicata la versione spagnola de La Maschera Comica. E io, di tutto questo, ne sono l’impresario: Antonio è, per così dire, il prodotto e io lo “vendo”. Vi assicuro che fuori dall’Italia la Commedia dell’Arte ha un grande valore ed è importante la nostra attività di divulgatori, riconosciuti, anche con pubblicazioni, da molte università.
Nella commedia dell’arte come sono “trattate” le figure femminili? La vis comica riesce a rompere gli stereotipi?
Siamo stati noi Italiani a inventare il professionismo teatrale, e soprattutto a fare entrare dalla porta principale la Donna nel Teatro. Prima della Commedia dell’Arte erano gli uomini a recitare le parti delle donne. La Commedia dell’Arte trova assolutamente logico fare recitare le donne e, siccome in questo tipo di spettacolo c’erano famiglie che viaggiavano insieme, le donne erano già pronte. Nella Commedia dell’Arte ci sono 4 archetipi, gli innamorati i servi, i capitani e i vecchi. Fra i servi spicca e brilla la servetta, che è il personaggio più intelligente di tutti, ha buon senso, sa vedere le cose così come sono e non si lascia ingannare. Una Capocomica dell’epoca è stata la grande Isabella Andreini, attrice bravissima e intelligentissima che tutti volevano, compreso il Re di Francia; proprio per non rifiutare il suo invito è morta a Lyon, nel viaggio di ritorno, per complicazioni nel parto. Io e Antonio siamo stati in pellegrinaggio a salutare i suoi resti nella cattedrale di Lyon.
Hai legato il tuo nome e la tua professionalità a due eventi importanti per la storia della militanza delle artiste reggiane sulla valorizzazione del femminile; mi riferisco a “Spettinate” e al recente Festival “Donne in scena”. Sono progetti artistici innovativi, il primo ebbe la “spericolatezza” di coinvolge ben 16 artiste per trattare temi, ripresi anche dagli spettacoli del recente Festival, in particolare il rapporto tra donne e corpo, il rapporto con il tempo, quello che manca e quello che passa, il rapporto con il maschile e quello con il proprio diritto di parola e di assunzione di responsabilità. Il coordinamento è sicuramente stato faticoso, non pensi che varrebbe la pena di avere una “Biennale delle attrici/autrici reggiane”?
Certo due esperienze fondamentali per la mia militanza femminile sono state Spettinate da te promosso quando eri Assessora, un’esperienza unica: 16 donne in scena, uno spettacolo poetico ed emozionante allo stesso tempo, è stato un piacere fare parte della produzione assisterlo come fosse una figlia. Ho potuto apprezzare il talento e la sensibilità delle attrici reggiane, una risorsa da coltivare e su cui investire. Dopo 11 anni da Spettinate mi sono fatta il regalo di organizzare il festival Donne in Scena. Io sono un impresario o devo dire “imprenditrice teatrale” e, facendo onore al mio titolo, ho voluto valorizzare queste talentuose attrici capaci di tanta bella genialità: francamente mi hanno dato una bella soddisfazione. Averle schierate tutte insieme, mostrate nella loro biodiversità per me è stato un piacere. Così come la Commedia dell’Arte non è sufficientemente valorizzata in Italia, le attrici reggiane non sono sufficientemente valorizzate a Reggio Emilia. Un giorno ho incontrato una signora che diceva al suo bambino: “Brutto!” e io le ho detto “Signora, perché gli dice brutto?” e lei “Perché così non si monta la testa”. Questa è Reggio oggi.
Natalia Maramotti
Chi è Dina Buccino
Dina Buccino nasce in un piccolo paese in provincia di Foggia ma con la famiglia si trasferisce presto al Nord, approdando a Reggio Emilia, quando compie undici anni. Diplomata maestra fa un incontro fondamentale per la sua vita personale e artistica con Antonio Fava, suo marito. Insieme formano un sodalizio professionale che ha principalmente ad oggetto la Commedia dell’Arte. Dina Buccino è stata però con Bruna Fogola, tra le prime claunesse in Italia insieme a Gardi Hutter; recitava da Clown dello spettacolo Clown Magic Table, che ebbe grande successo. Contemporaneamente si occupava di diritti delle donne facendo le battaglie del referendum sul divorzio e aborto. È imprenditrice teatrale per gli spettacoli di Antonio Fava insieme al quale ha portato la Commedia dell’Arte nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, Canada, Sud America. Recentemente ha organizzato il Festival “Donne in scena” a Reggio Emilia.
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