REGGIO EMILIA – “C’è stato un cambio di passo culturale, quello che è stato fatto è stato unificare gli elementi”, parola di Roberto Alfonso, ex procuratore capo Bologna. Questa è stata la cifra dell’indagine Aemilia per chi quell’inchiesta l’ha voluta e coordinata: mettere a sistema, interpretare decenni di avvenimenti in maniera organica, ottenere dal giudice che fosse Bologna, e non la casa madre calabrese, la sede dell’indagine, vista l’esistenza di una cosca autonoma: “Il centro decisionale era in Emilia, la pericolosità era in Emilia“, spiega l’allora Procuratore capo.
Per Alfonso non sono passati dieci anni – gli arresti scattarono il 28 gennaio 2015 – ma 15 anni. Appena arrivato a Bologna decise di raccogliere le spie accesesi nelle relazioni raccolte dalla Direzione nazionale antimafia e di riorganizzare la Dda costituendo una squadra ad hoc. “I reggiani – dice – rimasero increduli da quello che emerse”. Ma a Reggio c’era chi stava già facendo, “con coraggio un’opera straordinaria – aggiunge – L’ex prefetto Antonella De Miro con le sue interdittive“.
Sulle accuse di una parte della politica di non aver indagato su esponenti del centrosinistra, Alfonso ricorda: “La procura aprì un’inchiesta e io venni sentito ad Ancona e spiegai i fatti: era il 2021, non mi pare che siano usciti degli imputati da quell’inchiesta”.
Da magistrato in pensione, Alfonso è molto critico sulla riforma della giustizia e sulla separazione delle carriere: “Tutto quello che arriva dalla polizia giudiziaria non è prova: il pm deve fare filtro, temo non si risponderà al bisogno di giustizia del Paese”, conclude.
Nei prossimi giorni, TeleReggio vi proporrà l’intervista integrale all’ex Procuratore capo Roberto Alfonso.
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