REGGIO EMILIA – Carmen non urla, non offende, non grida. Dice, ricacciando indietro le lacrime, l’unica cosa in cui si può sperare adesso. “Vogliamo giustizia, perché questo non capiti a nessun’altra donna“. Se sapere dell’omicidio di una sorella getta nello sconforto più atroce, non si può immaginare cosa voglia dire saperlo da un altro continente, da 11mila chilometri di distanza: Carmen Samaniego Loayza, così come il resto della famiglia rimasta a Lima, in Perù, è stata contattata dalla madre quello stesso giorno, il giorno dell’uccisione di Juana Cecilia.
Aveva sentito la sorella il giorno prima al telefono, non la vedeva da tre anni e sognava la prossima visita. Vuole raccontarci di Cecilia in vita: della sua professione di insegnante di italiano e inglese, del fatto che avesse oltrepassato l’Oceano per impratichirsi con la lingua, di come abbia deciso di fermarsi a Reggio Emilia: “Le piaceva la città, il modo di vivere, ed è rimasta”.
Ci racconta di quanto amasse la sua numerosa famiglia, il suo cane Candela. Del fatto che fosse pompiera volontaria. Ringrazia tutti: i reggiani che si stanno dando da fare per aiutare sua mamma e suo nipote, i tantissimi che hanno inviato messaggi di cordoglio, le manifestazioni che sono state organizzate qui e anche lì da lei a Lima in onore di Cecilia.
Di Mirko Genco, di quello che sarebbe poi stato il suo assassino, Juana Cecilia con i parenti aveva parlato poco: “Ci aveva accennato sì, ma non ci aveva detto tutto: non avremmo mai immaginato una cosa del genere“.
“Sarà difficile avere la salma di Cecilia a Lima – dice ancora Carmen – A causa della pandemia, e anche dei costi molto alti”. L’ultimo pensiero è per il figlio di un anno e nove mesi della sorella: “Ci piacerebbe tanto averlo qui con noi ma è giusto che si decida con il suo papà e che si trovi la soluzione migliore per lui”.
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