REGGIO EMILIA – La querelle che ha portato la Conad Tricolore a rinunciare al prossimo campionato di serie A1 maschile, conquistato sul campo al termine di un’annata esaltante che ha visto la squadra di Mastrangelo vincere playoff e Coppa Italia di categoria, consegna alla città alcune verità con cui fare i conti.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, la prima riguarda il fatto che dopo i lavori di adeguamento il PalaBigi sarà pronto in tempo per la prossima stagione sportiva (finalmente), potendo così tornare a ospitare la stessa pallavolo maschile (ma in A2, e vedremo perché), la Pallacanestro Reggiana (che può così considerare terminato l’esilio a Bologna), il calcio a 5 e tutta la preziosa attività di scuole e società di base.
Resta la nota dolente (e non è possibile definirla altrimenti) di un impianto che nonostante 5 milioni di investimento spesi per essere portato a rispettare tutte le norme vigenti, scongiurando così il rischio di avere un palazzetto inutilizzabile, non rispetta i requisiti minimi per la massima competizione italiana di pallavolo in termini di altezza. Lo fa solo per metà del campo, con l’altra metà troppo bassa per alcune decine di centimetri. Apprendiamo dal Comune come non sia stato possibile fare altrimenti con una struttura degli anni Settanta modificabile solo parzialmente, per non comprometterne sicurezza e stabilità. Una giustificazione concreta, che però non può bastare ai tifosi. A onor del vero sono diverse le città italiane a non avere impianti a norma per la Superlega, la vicina Parma per non andare troppo lontano, o Bergamo che tutti davanti per favorita nei playoff al posto di Reggio, e proprio da Reggio eliminata in semifinale. Ognuno però guarda a casa propria e ad oggi non avere un palasport adeguato alle esigenze anche del volley resta una pecca. Pecca che, prendendo atto degli annunci dell’Amministrazione, sarà sanata.
Scartata per questione di tempi tecnici la possibilità di costruire entro la fine dell’estate un palatenda temporaneo, dal costo di due milioni di euro, Volley Tricolore e Comune di Reggio hanno diffuso un comunicato congiunto dove i primi si dicono ben contenti di restare in A2 a fronte della promessa di una futura Casa della Pallavolo, un valore aggiunto per tutto il movimento. Ma cosa si intende per Casa della Pallavolo? Un impianto, più un capannone che un vero palasport e nemmeno un tendone, in grado di soddisfare le richieste del mondo della pallavolo in termini di altezza (9 metri) e di posti a sedere (almeno tremila, con gradinate mobili e adattabili a seconda delle esigenze). Un impianto dove poter fare allenare il Volley Tricolore e altre società della città, ma anche in grado di ospitare altre discipline sportive. Prematuro al momento capire quale sia l’area individuata dal Comune per il progetto.
Sullo sfondo resta una soluzione, che la società reggiana ha bocciato, di trasferirsi a Modena a costo zero. Il Comune si era detto pronto a coprire i costi del disagio. Una soluzione che non avrebbe precluso la possibilità di lavorare comunque per un ritorno in città nella futura Casa della Pallavolo. Ha prevalso – ha sottolineato il direttore generale Loris Migliari – la voglia di giocare davanti ai propri tifosi da subito, dopo un campionato vissuto non senza difficoltà organizzative al PalaBursi di Rubiera. Va ricordato come l’attività del Volley Tricolore sia basata soprattutto sul lavoro di volontari, il cui spostamento a Modena avrebbe rappresentato una ulteriore criticità da risolvere.
Tifosi e semplici cittadini si fanno una giusta domanda: perché non costruire un nuovo palasport pienamente funzionale invece di mettere mano, come è stato fatto, al PalaBigi (5 milioni di euro spesi) e di pensare ad un secondo impianto da destinare principalmente al volley ma non solo? La risposta è forse nelle dimensioni dell’investimento richiesto. Un nuovo palasport, inteso nel senso più moderno del termine, sembra fuori dalla portata del Comune, impegnato anche nella riqualificazione di diversi impianti che ospitato attività di base delle diverse discipline, e non ci sono privati pronti a partecipare alla spesa (il famoso project financing). Numeri e fattori che si scontrano però con il cuore dei tifosi.
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