REGGIO EMILIA – “Per salvare il Gruppo Ferrarini non basta una iniezione finanziaria, ma occorre soprattutto superare le ragioni che hanno provocato la crisi con una decisa svolta strategica per valorizzare il vero made in Italy con il coinvolgimento dell’intera filiera”.
Così la pensa il ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, interpellata sul tema dai giornalisti durante una visita in Puglia. “Mi auguro – ha continuato il ministro – che sia individuata l’offerta migliore sul versante della tutela e valorizzazione del 100 per cento italiano”. La Bellanova ha ricordato che il Governo ha introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni suine trasformate “per garantire trasparenza ai consumatori sulla reale provenienza dei prodotti”.
La Bellanova non ha fatto nomi, ma la sua uscita appare come un chiaro sostegno alla cordata Bonterre-Intesa, di cui fa parte anche Opas, la più importante organizzazione dei produttori suinicoli italiani, e come una implicita bocciatura del gruppo Pini di Sondrio, che lavora soprattutto suini allevati in Spagna e nell’Europa orientale .
Parlando con i cronisti, il ministro ha fatto riferimento all’ipotesi di un intervento pubblico a sostegno dell’azienda reggiana. Perché? Perché nel luglio scorso la Ferrarini ha informato la sezione fallimentare del tribunale di essere impegnata nel perfezionamento di un accordo con Amco, la società del ministero dell’Economia che ha in pancia i rilevanti crediti vantati dalle banche venete nei confronti del gruppo di Rivaltella.
Per recuperare il 30% di quei crediti, Amco sarebbe disponibile a concedere nuove linee di credito a Ferrarini. E’ giusto che una società del Ministero presti denaro pubblico a un privato con la speranza di recuperare il 30% dei soldi che quel privato gli deve? La risposta della Bellanova: “Se sarà necessario un intervento pubblico, non potrà che avvenire in una ottica di filiera, in un settore dove operano 5mila allevamenti in grandi difficoltà, e non certo a sostegno di iniziative che favoriscano la delocalizzazione degli approvvigionamenti”.
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