REGGIO EMILIA – Mutande rosse, arancioni e gialle appese a un filo, a testimonianza di come sono rimasti, in mutande appunto; striscioni, megafoni, richieste ripetute. “Lavoro” e “riapertura” le parole più utilizzate. Un momento di tensione poi spento sul nascere dalle forze di polizia e dagli stessi manifestanti che non volevano in alcun modo arrivare alla violenza. Tra le centinaia di manifestanti a Roma, tra Circo Massimo e piazza Silvestro, c’erano anche diversi reggiani. Una quarantina di ristoratori, ad esempio. Si sono definiti responsabili fin dall’inizio del lockdown, hanno chiuso ancor prima che gli venisse imposto, hanno attraversato le polemiche sulle movide e riorganizzato i propri locali, e poi, di nuovo, le chiusure. Adesso davvero non ne possono più.
Stanchezza, ma anche il resoconto di giorni pieni di incontri, da parte di Paolo Croci, referente del gruppo reggiano che ci racconta com’è andata direttamente dal treno rientrando da Roma: “Due giorni di incontri con esponenti del Ministero dell’economia, vista la vicinanza del prossimo scostamento di bilancio e abbiamo cercato di fare ‘pressione’: abbiamo avuto ascolto e gli incontri sono stati discreti, adesso bisogna vedere se la politica agirà”.
In prima fila in piazza Silvestro per la Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio imprese per l’Italia, c’era il presidente provinciale Fabio Zambelli. Una delegazione è poi stata ricevuta al Ministero per lo sviluppo economico. “Vogliamo una data per la ripartenza, l’incertezza è la cosa peggiore”, hanno detto.
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