REGGIO EMILIA – Ogni anno la ripresa della scuola, per i pediatri, è uno dei momenti più caldi. Ma nulla può essere paragonabile a questo 2020.
In questa prima settimana Gino Montagna, pediatra dell’Ausl dal 1982, ha ricevuto un numero di chiamate che non riesce a quantificare, ma molto elevato. “La domanda tipo è: mio figlio ha il raffreddore, cosa devo fare? In presenza di un banale raffreddore, il classico naso che cola, le linee guida regionali dicono che non c’è niente che impedisca di frequentare la scuola”.
Il problema logistico ulteriore non indifferente è quando i sintomi compaiono a scuola: “Con tutta calma si porta il bambino nella stanza isolata e si attende il genitore che poi, senza agitazione, contatterà il pediatra: siamo noi a decidere se visitare il bimbo e sempre, comunque, su appuntamento”. Il dottor Montagna sottolinea poi quanto socialmente ed economicamente inciderà questo periodo, visto che il consiglio è di non lasciare i bambini coi nonni.
Un altro cambiamento importante riguarda la certificazione necessaria affinché il bambino possa tornare a scuola: “Faremo un certificato che attesti la negatività nel caso in cui il bambino sia stato sottoposto al tampone; in caso di positività, tutto va in carico all’Igiene pubblica dell’Ausl”.
Genitori oscillanti tra ansia e problemi economici, ma anche genitori che scelgono altre vie: non far eseguire il tampone sui propri figli, sebbene il medico lo prescriva. E’ successo l’estate scorsa, è già risuccesso in questa prima settimana di ripresa delle scuole. In questi casi il pediatra impone l’isolamento del bambino per 14 giorni, ma dopo? Non ci sono al momento altri obblighi e, allo stesso tempo, non è per nulla scontato che il piccolo sia negativo dopo le due settimane di quarantena.
Sebbene il rischio di contagio tra i bambini si mantenga basso – su 838 tamponi fatti da maggio nella fascia 0-6 anni in provincia, le positività sono state 3 – si tratta di un fenomeno sociale piuttosto discutibile.
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