REGGIO EMILIA – Il 31 gennaio scorso vi davamo notizia di un carcere di Reggio praticamente “covid free”, libero dal covid, nel senso di casi di positività che si contavano sulla punta delle dita di una mano tra detenuti e personale. Appena un mese e mezzo dopo, a metà marzo, la situazione ha iniziato velocemente a cambiare fino a precipitare, impossibile e anche poco utile adesso risalire al motivo scatenante del drastico cambiamento. Sta di fatto che adesso il carcere di via Settembrini è una vera e propria polveriera e le sigle sindacali unite chiedono misure drastiche: l’installazione di un ospedale da campo nel cortile interno dell’istituto penitenziario e la presenza dell’esercito a presidiare l’esterno.
Istanze che potrebbero sembrare provocatorie, ma fino a un certo punto, perché la situazione raccontata da Giovanni Trisolini, Vito Bonfiglio e Leonardo Cannizzo rispettivamente per Fp-Cgil, Fns-Cisl e Uilpa è realmente drammatica. I detenuti positivi sono 119 su 400 circa, di cui 5 ricoverati e altri due sempre al Santa Maria con le visite in corso. A questi si aggiungono gli oltre 20 agenti positivi e i 40 circa in quarantena, con la conseguenza di forze ridottissime; ma la cosa forse ancor più allarmante è il fatto che i detenuti malati di Covid siano nelle celle assieme a quelli negativi. La sezione destinata ai positivi infatti, 34 posti, è piena da giorni, e chi si è contagiato successivamente è dovuto rimanere nella propria cella. Ognuna di queste è da due posti, ce ne sono 25 su un corridoio lungo 100 metri, è facile intuire il rischio esponenziale del contagio che infatti si sta verificando.
Per questo la richiesta, inoltrata al prefetto di Reggio, al direttore generale dell’Ausl e al provveditore dell’amministrazione penitenziaria di Bologna, di un ospedale da campo: per poter trasferire lì i detenuti positivi e igienizzare tutti gli ambienti della casa circondariale.
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