REGGIO EMILIA – Hanno registrato una consistente flessione, nel primo trimestre dell’anno, le esportazioni della provincia di Reggio Emilia.
Le vendite oltre frontiera reggiane, secondo l’analisi dell’ufficio studi della Camera di Commercio sui dati Istat, con una contrazione del 9,9% sono scese a poco meno di 2,5 miliardi, oltre 271 milioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. In calo, contemporaneamente, anche le importazioni che, con una contrazione del 14,1%, sono scese sotto il miliardo (977 milioni).
La nostra provincia è quella che, a livello regionale, ha pagato il prezzo più caro della crisi causata dalla pandemia del Covid-19. La forte contrazione registrata dall’Europa, che acquista quasi due terzi dei prodotti “made in Reggio Emilia”, ha pesantemente condizionato l’andamento dell’export provinciale: proprio l’Europa, infatti, ha registrato un -10,7%, passando da poco più di 2 miliardi del gennaio-marzo 2019 agli attuali 1,8 miliardi. In forte flessione anche le vendite oltre frontiera destinate al continente asiatico (-11,7%), mentre appare più contenuto il calo verso l’America (-2,4%).
Fra i settori leader dell’economia reggiana, la metalmeccanica è quello che ha risentito in misura maggiore dell’andamento congiunturale negativo; al progressivo calo della produzione, acuito poi dalle difficoltà connesse al Coronavirus, si è associata una flessione dell’export del 13,4%, che ha portato il comparto (che rappresenta oltre la metà delle esportazioni reggiane) a vendite all’estero per poco più di 1,2 miliardi.
In particolare, una notevole contrazione, pari a -17,3%, si è registrata per le vendite di prodotti della metalmeccanica verso la Germania, il principale acquirente di merci reggiane del settore che, nel primo trimestre 2020 sono scese a meno di 185 milioni; andamento analogo per la Francia che, con 144,5 milioni, registra una flessione del -17,4%.
Negativo il trend anche di altri settori portanti dell’economica della provincia di Reggio Emilia: ha registrato un -8,4% il sistema moda; cede il 3,2% la filiaera agroalimentare; pari a -2,8% la variazione del settore ceramico e a -12,2% quella dell’elettrico-elettronico. L’unica nota positiva è da ascrivere al chimico-farmaceutico, comparto cresciuto del 9,4%.
“I dati forniti dall’Istat sono eloquenti e generalizzati a quasi tutti i comparti produttivi – ha commentato Mauro Macchiaverna, vicepresidente Unindustria Reggio Emilia – Ancora più drammatiche le previsioni, perché va tenuto conto che stiamo commentando i risultati del primo trimestre, che è stato interessato solo in minima parte dal lockdown“.
Per Macchiaverna, “la fotografia emersa riflette la gravità della crisi e i timori per il futuro del nostro sistema produttivo, che trovano conferma anche nelle previsioni diffuse dai principali istituti di ricerca economica e dalle istituzioni internazionali. Per evitare un crollo della tenuta economica e sociale, il nostro Paese è tenuto e mettere in campo, insieme alla Bce e all’Europa, tutte le risorse disponibili per sostenere la liquidità delle imprese e delle famiglie e dare corso a quelle riforme e quegli investimenti a lungo rinviati e ormai non più prorogabili”.
















