REGGIO EMILIA – “Come avrei fatto a dire di no a un presidente che mi diceva che aveva l’assessore alla Sanità ammalato e la direzione dell’assessorato in quarantena?”. Sergio Venturi, ospite ieri sera in collegamento a Decoder su Telereggio, ha risposto così quando gli è stato chiesto chi glielo abbia fatto fare di accettare la nomina a commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus.
Nato a Vergato (Bo), residente a Parma, il 67enne Venturi ha ricordato le tremende giornate della prima metà di marzo. “Giornate così tristi e desolanti, che ti stendono completamente per il fatto che non sai cosa fare. Quando abbiamo avuto il picco erano giornate in cui non vedevi domani”. Venturi si è definito con modestia “un commissario senza commissariato”, nel senso che l’operatività è sulle spalle dell’assessore Raffaele Donini. Per la sanità reggiana ed emiliano-romagnola ha avuto solo parole di apprezzamento, indicando anche un terreno di riflessione per una futura riorganizzazione. “Gli ospedali come siamo abituati a conoscerli oggi, tra qualche mese o tra qualche anno saranno profondamente differenti, perché abbiamo bisogno di una concentrazione di posti letto di Terapia intensiva molto più importante di quella che avevamo”.
Sui focolai di Coronavirus nelle case protette, l’ex assessore regionale alla Sanità ha ricordato che già alla fine di febbraio era stata data disposizione che nessuno potesse entrare. Dunque, sostiene Venturi, salvo negligenze, il virus è stato portato nelle strutture per anziani da operatori socio-assistenziali che non sapevano di essere positivi. Ma
il commissario straordinario ha suggerito una riforma delle case protette, che oggi sono gestite dai Comuni, dalle Unioni o dai privati. “Questo è il frutto di una scelta che è stata fatta anni fa e che secondo me i sindaci per primi, alla fine di questa ondata epidemica, dovranno riconsiderare perché un conto è gestire case protette in tempo di pace, un conto è gestirle in tempo di guerra”.