REGGIO EMILIA – I dati del Coronavirus che sta colpendo la Cina aumentano di giorno in giorno e di ora in ora. Ovvio che la preoccupazioni aleggi anche qui e che anche a Rdeggio stia scattando la paura. Sul virus cinese – ha spiegato Pietro Ragni dell’Ausl – è preallarme, i protocolli sono pronti.
Il numero dei morti causati dal nuovo coronavirus è salito e i casi di contagio sono circa 1350. Tutte le morti sono avvenute in Cina ma sono stati confermati casi in Francia, Stati Uniti e Australia. In Cina le città isolate sono salite a 13, chiuse la Grande Muraglia e la Città proibita e il cordone sanitario riguarda ora 56 milioni di persone. Pacchetti turistici bloccati, ordinate misure a livello nazionale per identificare i casi sospetti su treni, aerei e autobus. Con questi numeri è ovvio che la preoccupazione viaggi ancora più in fretta. A Reggio è preallarme ma, spiega il responsabile Ausl per il rischio clinico Pietro Ragni, non deve scattare l’allarmismo. “Siamo in una fase di preallerta – sono le parole dell’esperto -, usiamo protocolli già pronti”.
Le misure citate da Ragni sono nate vent’anni fa con la Sars e sono state rodate in più occasioni, dalla Pandemia all’Ebola. Fortunatamante i protocolli non sono stati utilizzati per casi reali ma solo sospetti. Verranno resi più specifici man mano che la comunità scientifica acquisirà nuove informazioni su un’infezione che, non va dimenticato, c’è dal 30 dicembre, il cui contagio è respiratorio. “Avviene non semplicemente parlando o stando a breve distanza ma si veicola attraverso tosse e starnuti”, specifica il medico.
La letalità del coronavirus sembra attestarsi intorno al 3, 4% decisamente meno della Sars che superava il 50. In febbraio molti torneranno dalla Cina dopo il Capodanno, le prime misure sono già state attivate negli aereoporti. Ovvio che i tre casi accertati in Francia aumentino la paura. “Non sentirete mai un medico dire che il rischio di contagio è zero – conclude Ragni – è impossibile. Ma al momento non c’è motivo di allarme sanitario. Dovremo piuttosto preoccuparci dell’aria che respiriamo”.
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