REGGIO EMILIA – In ospedale non si può entrare senza un motivo valido, e allora i regali vengono recapitati. Di cartoni di pizze al Santa Maria Nuova di Reggio ne arrivano a tutte le ore. A metà pomeriggio come nella notte, perché gli orari di pranzi e cene non esistono più. Spesso non esistono nemmeno i pranzi e le cene. Ci sono quasi sempre dei biglietti di accompagnamento, sull’ultimo c’era scritto “non posso dare il mio contributo in altro modo ma sono con voi”. Vicinanza nella lontananza.
In pochi altri Paesi come in Italia, e Reggio non fa certo differenza, il cibo è molto altro che nutrimento. E’ conforto, è stare insieme. Anche a distanza. Chi è dentro sta combattendo: i malati e i loro famigliari, e con loro medici, infermieri, inservienti, amministrativi, volontari, barellieri, personale addetto alle pulizie.
Da un paio di settimane al Santa Maria Nuova è una processione incessante di biscotti e brioches, di dolci, di pizze appunto. Li fanno portare, da fuori, le scuole, i baristi, i ristoratori di Reggio. Ce lo dice la responsabile del pronto soccorso, Anna Maria Ferrari, in pochi minuti al telefono.
Perché il tempo non è molto, ma un attimo lo spende volentieri per raccontarci di questo ‘grazie’ della città in formato vassoi, sacchetti e confezioni. Il pronto soccorso è il primo avamposto, ma la gente non sta facendo differenza tra i vari reparti, così come i medici e gli infermieri stanno accettando senza alcuna riserva di darsi disponibili anche nei turni di riposo. Riposo. Parola stonata, di questi tempi, per chi è in corsia. Li chiamiamo eroi, e facciamo bene. Ma loro forse si sentono solo uomini e donne, alle prese come noi con un avversario sconosciuto da combattere un giorno alla volta. Noi però siamo nelle retrovie, ci viene chiesto solo di stare a casa. Sì, “solo”.
Evidentemente c’è un tempo in cui il diritto più grande che abbiamo, la libertà, diventa il dovere di limitarla per non doverla perdere. Loro invece sono in prima linea, armati di quello che sanno e che fanno. Tutti i giorni però, sempre. Con la stessa passione ogni volta, perché spesso i turni finiscono per essere massacranti. La foto dell’infermiera di Cremona che stremata chiude per un secondo gli occhi ha fatto il giro d’Italia. Quegli occhi lì, magari, ricordiamoceli anche dopo. Non è una ‘lezione’, qui maestri non ce ne sono. E’ piuttosto un invito che facciamo anche a noi stessi a far durare quel grazie anche dopo, quando medici e infermieri torneranno, come noi, a mangiare una pizza tutti insieme.
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