REGGIO EMILIA – Può una finestra che si apre dopo quasi un mese essere un messaggio di resurrezione, speranza, ma anche un monito a continuare a rispettare le regole? La risposta è sì.
Pietro e Antonia non sono due eroi. Hanno 72 e 71 anni ma guai a chiamarli anziani. Sono due persone normali, con una vita normale e una routine familiare a molti pensionati della loro età: un giro al supermercato al mattino, il caffè dopo pranzo con gli amici al bar (sempre quello), una pizza fuori ogni tanto. Bene. Hanno contratto il Coronavirus e sono stati in ospedale per quasi un mese. Raggi ai polmoni, tac, tampone positivo, ricovero in Medicina II e per Pietro anche un lungo periodo in terapia intensiva in Pneumologia, prima di uscire dal tunnel e tornare lentamente a respirare senza macchine nel reparto Infettivi, quello che conosciamo tutti, e poi al Covid (al piano -1), allestito ad hoc a inizio emergenza da un ospedale, il Santa Maria Nuova, che al pari dell’intera sanità reggiana ha saputo riorganizzarsi in modo magistrale per fronteggiare l’emergenza.
Sono stati dimessi lunedì pomeriggio. Pensate, sono tornati a casa a bordo della stessa ambulanza. Credetemi, una scena romantica per certi versi. E quando, sempre insieme, per la prima volta hanno riaperto la finestra della loro cucina, anche i vicini si sono affacciati per festeggiarli. Perché il ritorno di entrambi non era affatto scontato. E ve lo dico a ragion veduta, perché Pietro e Antonia sono i miei genitori.
Il racconto non è molto diverso da quello di chi, come loro, è riuscito a sconfiggere le malattia. Pietro è tornato a casa negativo, doppio tampone. Antonia farà presto i test di controllo, per ora è in quarantena. Sono stati male. Molto male. Hanno visto altri stare pure peggio. E ripetono sempre solo una cosa: “Stai attento, Davide, non prenderlo, abbiamo visto l’inferno là dentro“. E là dentro, all’inferno, lavorano centinaia e centinaia di medici, infermieri, assistenti sanitari, tecnici di laboratorio che ogni giorno fanno a cazzotti con il virus, in prima linea. Non uno scherzo. Mentre fuori qualche cretino ancora viola le regole per correre, fare una grigliata con gli amici, comprare una mela al giorno solo per uscire di casa, oppure scrive cose a vanvera sui social. Luoghi comuni, fake news e stupidate che ti prenderebbero a pedate nel culo anche al bar, se solo ce ne fosse uno aperto.
I numeri dei decessi da soli bastano a fotografare la gravità della situazione. E ogni giorno, anche nella nostra provincia, sono tante le persone che piangono chi non c’è più. E lo fanno in solitudine, come in solitudine se ne va chi viene vinto dalla malattia. Testa dura e spalle larghe, mi sono ripetuto spesso nelle ultime settimane. Testa dura e spalle larghe sono l’antidoto contro la disperazione, il carburante della speranza. Poi c’è un altro ingrediente tutto emiliano: quel pizzico di genio che ha consentito a imprese private e istituzioni pubbliche di mettere in piedi esempi lampanti di come si possa davvero fare la differenza forti solo di idee e determinazione.
Pietro e Antonia oggi dicono solo grazie. Grazie a chi li ha curati e a chi ha fatto in modo che un letto ci fosse, che ci fosse un ventilatore polmonare e che ci fosse pure tutto il resto.
Stiamo tutti in casa. Teniamo duro. Buona Pasqua.