REGGIO EMILIA – Da qualunque parte la si guardi, quella del fitto scambio di messaggi fra Mescolini e Palamara è una storia che rischia di costare cara al nostro territorio. Sarà la Procura generale della Cassazione a valutare se quei Whatsapp meritino un approfondimento specifico. E sarà il procuratore capo Mescolini, se vorrà, a spiegare e contestualizzare quei contatti. La conseguenza più grave, però, consiste nel fatto che questa vicenda si presta ad essere utilizzata per attaccare e indebolire un magistrato di valore, che ha condotto un’inchiesta formidabile per vastità e profondità sulla presenza della criminalità organizzata nel Reggiano e non solo. Sarà utilizzata per mettere in dubbio le basi e i risultati di quell’indagine e le condanne che sono scaturite dai processi. Sarà usata per insinuare che Mescolini si sia accanito su alcuni indagati, ma abbia ‘salvato’ altri, evitando di indagare su di loro. Il tiro al bersaglio è già cominciato, con la richiesta di dimissioni del procuratore capo avanzata da Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Le sentenze hanno stabilito che almeno fino al 2012 molti imputati condannati nel processo Aemilia e in altri processi per fatti di mafia – come Nicolino Sarcone, Alfonso Diletto, Pasquale Brescia e Alfonso Paolini – frequentavano i vertici provinciali del Pdl, partecipavano alle cene di partito, avevano rapporti frequenti con gli esponenti locali a Reggio, Brescello, Bibbiano e Campegine e raccoglievano firme per le liste di centrodestra nei comuni della provincia. Per queste frequentazioni, nessuno si è dimesso.
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