REGGIO EMILIA – C’è il caso di un badante che pensa di essere stato contagiato dall’anziano malato di Covid che assisteva. C’è la situazione della cassiera 50enne di un supermercato e i tanti fascicoli, la maggior parte, di operatori socio sanitari anche molto giovani, tra i 30 e i 40 anni. La loro è, al momento, la categoria più colpita in assoluto tra
quelle seguite dal patronato Inca Cgil, che sta assistendo un’ottantina di persone.
Da dati pervenuti da commissioni regionali e provinciali, si presume siano circa 300 le denunce arrivate all’Inail dalla nostra provincia nel periodo che va da fine febbraio al 21 aprile per presunto infortunio Covid, ovvero segnalazioni per contagio che si pensa sia avvenuto sul luogo di lavoro. Si tratta per il 70% di donne e quello reggiano è il numero più alto in regione dove le denunce sono state finora poco meno di 3mila.
Come mai questo primato? “A Reggio ci sono molte case di riposo e c’è una rete che funziona molto bene tra medicina del lavoro, aziende sanitarie, sindacati per l’inoltro delle pratiche”, ha commentato Giorgia Zanellato, responsabile del settore Danni da Lavoro di Inca Cgil. Una volta fatta pervenire la denuncia all’Inail, è l’istituto a richiedere esiti di tamponi e documentazione e valuta se il rischio sia comprovato, come nei casi di lavoratori di area sanitaria o a contatto col pubblico.
Non esistono però categorie escluse a priori dalla tutela; i postumi eventuali e gli eventuali danni, anche permanenti, verranno valutati dall’area medica. L’indennizzo varia a seconda della gravità dei casi.
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