REGGIO EMILIA – Le centrali idroelettriche sfruttano l’energia che si produce muovendo una grande massa d’acqua per trasformarla in energia cinetica e, attraverso turbine e alternatori, in energia elettrica. Esistono impianti a serbatoio, che utilizzano l’acqua di un bacino naturale o artificiale, come la centrale idroelettrica del lago di Suviana (teatro della immane tragedia di ieri) nell’appennino bolognese e come quella di Ligonchio sull’appennino reggiano. E poi ci sono impianti ad acqua fluente, che invece utilizzano la portata di un corso d’acqua. E’ il caso della più moderna centrale idroelettrica sul Secchia a Castellarano, gestita dal Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale.
“Sono impianti sicuri perché vengono progettati, collaudati, controllati e manutentati, ma come in un qualsiasi sito produttivo la pericolosità esiste”, dice Mauro Bigliardi, responsabile del settore impianti del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale.
Le centrali di Ligonchio e Predare sono state realizzate all’inizio degli anni ’20 del ‘900 e sfruttano la acque dei torrenti Rossendola e Ozola. Sono in grado di produrre ogni anno energia elettrica per circa 56.500 MWh. La centrale di Castellarano, inaugurata nel 2018, produce 6-7 milioni di Kwh all’anno, corrispondente al fabbisogno annuo di 3.500 – 4.000 famiglie. “Abbiamo sfruttato le nevicate e le piogge di questi mesi, la centrale sta andando molto bene”.
La centrale di Farneta, a una decina di km più a monte, nel modenese, è una delle principali centrali idroelettriche del nostro Appennino e utilizza l’acqua del Dolo, affluente del Secchia. Ci sono poi impianti minori come ‘La Fornace’ a Baiso. Queste centrali hanno un futuro?
“Sono importanti perché producono energia rinnovabile a tutti gli effetti, sono impianti virtuosi e moderni da valorizzare, sulle cause di ciò che è accaduto nel Bolognese ci saranno indagini, non si possono fare paragoni con altri impianti perché ogni impianto è a sé”.
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