REGGIO EMILIA – “Ho simulato un futuro che, prima del Covid quando abbiamo scritto il film sembrava tra 30 anni, dopo il Covid è diventato tra 15, forse anche tra 10″. Il futuro, non così lontano, che Pif ha raccontato al cinema Rosebud è quello che il regista ha messo in scena ne “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”. Il protagonista del film è Fabio De Luigi che interpreta un manager rampante che da un momento all’altro perde tutto a causa di un algoritmo. Che cos’è l’algoritmo? E’ un mistero, dovrebbe migliorarci la vita ma in realtà la condiziona: “L’algoritmo è al centro e noi siamo attorno a questo cacchio di algoritmo e questa cosa non è accettabile, perché poi l’algoritmo applicato al mondo del lavoro diventa una schiavitù, è un sistema per poveracci come diceva un amministratore delegato di una azienda di consegne in una intercettazione telefonica”.
Dopo i lavori dedicati al tema della mafia, un nuovo film di denuncia sociale questa volta verso il ruolo che sta assumendo la tecnologia nella realtà di oggi. Ma durante l’incontro con il pubblico del Rosebud non sono mancati gli aneddoti che hanno legato Pif a Reggio Emilia, come i cappelletti della mamma del montatore di film da Oscar Cristiano Travagliol: “Ho battuto anche il record in casa Travaglioli di cappelletti, ho mangiato quattro piatti di cappelletti, dicevo signora poco e arrivava il piatto che se lo inclinavi un po’ usciva tutto, ne ho mangiati quattro, ho battuto lo zio che ne aveva mangiati tre”.
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