REGGIO EMILIA – Osvaldo Piacentini prefigurò una città strutturata in quartieri a misura d’uomo. Fu promotore di un’urbanistica cosiddetta sociale, tramite quella cooperativa architetti e ingegneri di cui fu un fondatore nel 1952 assieme al gotha del professionismo reggiano nel settore. Nato il 29 dicembre 1922, fu costretto a interrompere gli studi per il servizio militare. Partecipò alla Resistenza e fu arrestato durante un rastrellamento assieme al fratello Bruno. Si salvò e fu inviato al carcere dei Servi grazie alla compassione di un ufficiale austriaco che li aveva visti pregare quando erano già stati messi al muro per la fucilazione.
Nel dopoguerra, arrivato alla laurea, svolse per un breve periodo vita politica attiva nelle file della Democrazia Cristiana e fu collaboratore di Giuseppe Dossetti senior quando tentò l’elezione a sindaco di Bologna nel 1956. Ma i suoi interessi erano volti soprattutto all’architettura. Con la cooperativa si occupò del quartiere Saint Gobain a Pisa, dei piani regolatori di varie città emiliane, del quartiere Sant’Agnese di Modena, San Donato di Bologna. Si sposò nel 1956 con Liliana Bussi. Dall’unione nacquero 12 figli. Con i colleghi progettò a Reggio il Villaggio Nebbiara o Villaggio Architetti, pensato per sviluppare nel quartiere una vita di comunità e ancora oggi oggetto di visite piene d’ammirazione. Poi la collaborazione con Campos Venuti, la pianificazione territoriale in Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Marche, in varie comunità montane, con l’attenzione spostata dalla città al territorio e all’ambiente. Rilevante nella sua vita anche l’impegno ecclesiale. Ordinato diacono dal vescovo Baroni, prestò il successivo servizio nella parrocchia di S. Giuseppe al Migliolungo. Colpito da una paralisi al braccio sinistro nel 1980, continuò a occuparsi di progettazione fino alla scomparsa, avvenuta il 4 gennaio 1985.
Gian Piero Del Monte
Il centenario della nascita di Osvaldo Piacentini: su Telereggio il docufilm “L’architetto di Dio”
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