
Foto di Nicolò Degl’Incerti Tocci
REGGIO EMILIA – Cominciamo dalla fine, dall’ultimo spettacolo che hai interpretato, giusto due settimane fa, al Teatro San Prospero all’interno del Festival Donne in scena: “Diatriba d’Amore contro un uomo seduto”, unico testo teatrale di Gabriel Garcia Marquez. Graciela, una donna di umili origini che sposa un uomo benestante e che si impegna per ascendere socialmente, dopo 25 anni di matrimonio, “vuota il sacco” davanti al marito, un uomo seduto in poltrona, distratto ed estraneo, esprimendo il fallimento del suo sogno naufragato per un quarto di secolo tra finzione, ipocrisia e tradimento. Quanto c’è ancora di contemporaneo in questo rapporto tra una donna e un uomo?
Credo che, tanto per me quanto per chi assiste allo spettacolo, sia evidente che il testo ruoti attorno ad un presupposto mai realmente superato: come Graciela ammette, sono le menzogne che racconta a se stessa la ragione che la spinge ad accettare un amore, se così si può definire, narcisistico, che lei per prima crede di meritare. Così anche oggi credo che molte donne (e non si tratta di una dinamica esclusivamente femminile) preferiscano vivere di bugie e fantasie piuttosto che guardare in faccia la realtà e affrontare e mettere in discussione, non senza coraggio, una relazione disfunzionale, un amore incapace di autentica reciprocità. Graciela, sul finale, decide di inseguire la propria libertà, alla ricerca di un sentimento autentico, indipendentemente dall’età, dalla classe sociale, dai rischi che derivano dal rimettersi in gioco e tornare a “vivere” pienamente un’identità tutta da riscoprire; questo resta, a mio parere, il messaggio più potente che la storia ci consegna.

E ora ripartiamo dall’inizio: nasci a Reggio Emilia, frequenti il liceo scientifico e studi canto e flauto traverso, poi vai a Milano dove ti diplomi giovanissima alla Scuola d’arte drammatica “Paolo Grassi”, ottenendo il riconoscimento come miglior allieva del corso attori, lavorando con insegnanti come Cesare Lievi, Maurizio Schmidt, Massimo Navone, Kuniaki e Tatiana Olear. Perché lasci Milano e decidi di fare la tua carriera in una città di provincia?
Ho sempre creduto nell’importanza del lavorare in gruppo. Ho deciso di condividere il percorso artistico con i miei colleghi del Centro Teatrale MaMiMò, per continuare a crescere e interrogarci insieme su ciò che significa fare teatro e creare con loro una realtà che sia fucina creativa e accogliente per tutti gli artisti, non solo reggiani, che negli anni si sono uniti a noi che hanno lasciato e, credo, ricevuto preziosi contributi umani e professionali, dando vita ad uno scambio sempre nuovo e fecondo. Ho scelto Reggio per portare nella nostra realtà quanto vivo e imparo dalle collaborazioni con grandi registi ed artisti che arricchiscono il mio percorso.
Dal 2004 contribuisci alla crescita del Centro Teatrale “MaMiMò” come attrice e insegnante e diventi, nel 2012, responsabile della Scuola di Teatro del Centro che si trova in un quartiere periferico della città di Reggio: il quartiere Orologio. Per far crescere un teatro ogni posto può essere dunque quello giusto?
Il teatro è costituito dalla comunità delle persone che ne fanno parte. La mia esperienza mi suggerisce che ogni luogo è quello giusto per diffondere arte e interrogarsi sulla realtà che si vive, anche attraverso il teatro. Ogni comunità ha desiderio di raccontarsi e testimoniare, attraverso la cultura, la propria Storia. Da diversi anni mi occupo di progetti teatrali in carcere: credo che sia l’esempio di una comunità che sa accogliere il teatro come potente motore di vita e ricchezza, capace di farsi voce di un’identità collettiva che riscopre, attraverso il linguaggio teatrale, la propria voce.
La condizione di attrice purtroppo non mette una donna al riparo da stereotipi, sessismo, abusi e violenza di genere proprio nelle relazioni professionali. Il Me Too negli U.S.A. ha disvelato un mondo, che era noto sottotraccia, e in Italia è nata Amleta un collettivo femminista il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo. Eleonora Giovanardi, attrice reggiana, e Valeria Perdonò, una artista nota al pubblico cittadino per la collaborazione con il Centro Teatrale MaMiMó, ne fanno parte. Cosa pensi di questa iniziativa?
Conosco molto bene Amleta e diverse artiste che ne fanno parte e che stimo e ne condivido pienamente il Manifesto. Abbiamo bisogno di voci femminili forti e consapevoli che si raccontino e accendano l’attenzione su urgenze non più deferibili. Dovremmo tutti avere gli stessi diritti e le medesime opportunità, in relazione al talento e al merito e nel rispetto dell’unicità di ciascuno di noi. Credo che la disparità di genere in Italia sia molto evidente: è essenziale battersi per la dignità sul lavoro, per la parità salariale promessa a parole troppo spesso, perché una donna incinta sia considerata come uno strumento di ricchezza per la società, e non come un peso da gestire.

La realtà trasforma il linguaggio, così come il linguaggio trasforma la realtà: tu, che fai del linguaggio la materia prima del tuo lavoro, usi il linguaggio sessuato, ossia la concordanza al femminile di lavori e professioni se chi li svolge è donna?
Certamente. Peraltro, lavorando ad esempio con persone transessuali, cerco di rispettare l’identità altrui per come ciascuno si sente e percepisce. La trasformazione in senso inclusivo del linguaggio è importante. Eppure, a mio avviso, ancora più urgente è una trasformazione del pensiero che tale linguaggio accompagna. Un esempio: pensiamo alle parole maestro/maestra. Un semplice slittamento di vocale produce ben di più di uno scarto di genere. Laddove alla parola “maestro” associamo spontaneamente il concetto di una figura autorevole e significativa nel percorso di crescita e formazione umana, al suo omologo femminile riserviamo un orizzonte di significato ristretto, inevitabilmente, alla maestra di scuola elementare o, al più, con l’accezione dispregiativa “maestrina”, a una percezione di fastidiosa pedanteria, priva di slancio creativo. Ciò che deve cambiare è lo stereotipo che culturalmente regola la qualità dei rapporti di identità tra maschile e femminile.
Ora una domanda sul tempo presente: c’è la guerra a un passo da casa. In un’intervista su Huffpost del 31 marzo scorso Segolene Royal, ex ministra francese, dice: “Troppo testosterone e machismo sulla crisi ucraina…una specie di competizione tra uomini che devono dimostrare di essere più forti”. Poi si sofferma sulla foto di famiglia del G7 di pochi giorni fa:” Tutti uomini” che “assumono una posa ridicola, tra il bellicoso, il fanfarone e il narcisistico, quando dovrebbero confrontarsi con la gravità della situazione e pensare a ristabilire la pace”. Non ci sono donne nei tavoli maschili delle trattative dove l’umanità sofferente non conta. Cosa ti provoca il contrasto tra l’energia distruttiva maschile e quella vitale delle donne che quotidianamente provano a ricostruire quello che è stato distrutto il giorno prima?
Ciò che mi sorprende è che spesso il discorso pubblico e giornalistico è caratterizzato da stereotipi sul genere femminile, senza che le donne siano protagoniste e relatrici di tale discorso. Allora amo pensare che le donne siano capaci di rispondere al “machismo” tossico con la perseveranza e costanza di un lavoro paziente e “artigiano”, come quello di chi lavora, lontano dalla luce dei riflettori e dal fragore degli applausi, a creare le condizioni feconde per la pace. Non si tratta di “alzare la voce”, per sovrastare il rumore di fondo, ma di insegnare all’ascolto. Esiste già una cultura della pace: non credo sia appannaggio esclusivo delle donne, ma senz’altro dal suo “rumore” gentile può e deve trarre ispirazione e forza.
Infine , tra l’8 marzo e il 2 aprile scorso , con il coordinamento di Dina Buccino, il sostegno economico del Comune di Reggio Emilia, il sostegno di tutte le associazioni di genere della città unite nel Co.A.Ge, Coordinamento delle Associazioni di Genere di Reggio Emilia, 6 artiste reggiane, tra le quali anche tu, hanno interpretato il femminile, nel Festival Donne in Scena. Perché hai partecipato?
Ho trovato preziosa e interessante l’idea di Dina di riunire diverse artiste reggiane in un’unica casa-progetto. Ciascuna di noi esprime il proprio talento in modo differente. Credo sia fondamentale dare spazio ad artiste del territorio, credo nella collaborazione di spazi e pensieri come una ricchezza imprescindibile.
Natalia Maramotti
Chi è Cecilia Di Donato
Nasce a Reggio Emilia e si diploma giovanissima alla Scuola d’arte drammatica di Milano “Paolo Grassi”, ottenendo il riconoscimento come miglior allieva del corso attori lavorando con insegnanti di fama internazionale. Dal 2004 collabora attivamente alla crescita del Centro Teatrale “MaMiMò” come attrice e insegnante. Dal 2017 si occupa dei progetti di Teatro Sociale del Centro Teatrale MaMiMó. Tra gli spettacoli teatrali più importanti: come assistente alla regia, Kaddish per il bambino non nato (regia di Ruggero Cara e Vincenzo Todesco); Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare, regia di Massimo Navone, Pulcinellata nera (tournè mondiale) e L’amante Militare per la regia di Antonio Fava, Bilora di Ruzante regia di Kuniaki Ida e Tradimenti di H. Pinter, con la regia di Maurizio Schmidt;, Otello, ancora un tango ed è l’ultimo, regia di M.Navone, L’Isola del tesoro di Emanuele Aldrovandi .Coriolano, di William Shakespeare, regia di Marco Plini, “La Meccanica del cuore ” di M. Malzieu, regia di M. Maccieri in collaborazione con Teatro GiocoVita di Piacenza, ” Officine Reggiane, il sogno di volare” di Marco Di Stefano, regia A. Ruozzi,,2020 Reading ” Diatriba d’amore contro un uomo seduto” , di Ganbriel Garcia Marquez regia di A. Ruozzi, 2021 “Stelle Nere” di Fabio Banfo, regia Fabio Banfo . Dal 2012 diventa assistente di Antonio Fava e con lui recita in “La Schiava di Pulcinella” (2013) e ” Vita, Morte e Resurrezione di Pulcinella ” (2014 ad oggi).
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