NOVELLARA (Reggio Emilia) – “Ho ucciso mia figlia”. Parole che sarebbero state pronunciate dal padre di una 18enne il cui nome e cognome sono saliti alla ribalta della cronaca non solo locale nel maggio 2021: Saman Abbas. Parole che l’uomo, Shabbar, non avrebbe pronunciato in queste ore, ma poco tempo dopo il presunto delitto: nel giugno di un anno fa, quando, assieme alla moglie e madre di Saman, da Novellara era già fuggito in Pakistan. Un elemento di enorme importanza per l’impianto accusatorio e che, dice l’agenzia di stampa Ansa, emerge dagli atti del processo che inizierà a febbraio. Alla sbarra, assieme al padre e alla madre della ragazza tuttora latitanti in Patria, anche due cugini della giovane e lo zio, tutti accusati di sequestro, omicidio premeditato, soppressione di cadavere.
Proprio quest’ultimo, Danish Hasnain, è considerato l’autore materiale dell’omicidio. Ora però emergono queste parole, frutto di un’intercettazione telefonica. Un dialogo che Shabbar Abbas stava avendo al telefono con un parente in Italia, per altro sentito dagli inquirenti sempre a giugno 2021. “Per me la dignità degli altri non è più importante della mia – diceva Shabbar – Io ho lasciato mio figlio in Italia, ho ucciso mia figlia e sono venuto, non me ne frega nulla di nessuno. Io sono già morto, l’ho uccisa io, l’ho uccisa per la mia dignità e per il mio onore. Noi l’abbiamo uccisa”.
Il fratello minore della ragazza, oggi affidato a una comunità protetta, è il principale teste della procura: è stato lui a riferire che lo zio, rientrando dalla campagna la sera del 30 aprile 2021, gli aveva detto di aver ucciso la sorella. Saman qualche mese prima, ancora minorenne, aveva denunciato a carabinieri e servizi sociali il fatto che i famigliari volessero obbligarla a sposarsi in Pakistan.
Le indagini sull’omicidio di Saman: il fratellastro del padre e la breccia nel muro di omertà
La foto del bacio che fece infuriare
Un bacio tra due giovani, per le vie di Bologna. Il momento di intimità tra Saman Abbas e il suo fidanzato, da lei postato sui social tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, secondo quanto accertato dalle indagini, fu una delle scintille che alimentò la rabbia dei familiari della giovane pachistana, scomparsa la notte del 30 aprile 2021. Lo scatto risale al periodo in cui la ragazza viveva in una comunità protetta. Un cugino, sentito dai carabinieri di Reggio Emilia, ha riferito di aver ricevuto l’immagine e che il padre Shabbar, la madre Nazia e il fratello della diciottenne “si lamentavano in continuazione di tale situazione”.
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