REGGIO EMILIA – La sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato illegittimo e annullato il trasferimento da Reggio del procuratore capo Marco Mescolini e l’ordinanza con cui il Consiglio superiore della magistratura, accogliendo la richiesta della procura generale della Cassazione, ha archiviato il procedimento disciplinare a carico del magistrato, hanno ridisegnato i contorni di una vicenda che ha segnato la storia recente della nostra città: l’estromissione dai vertici della procura del magistrato che aveva condotto le indagini e il processo contro la ‘ndrangheta.
Per bollare come politicizzato un magistrato, non basta che lo dica un esponente politico che è stato coinvolto dalle sue indagini; servono fatti, elementi concreti, prove. E nel caso di Mescolini, secondo il Consiglio di Stato, di prove non ce n’era neppure una. La verità storica dei fatti, dunque, è ristabilita. Ma questa riabilitazione a posteriori non cancella ciò che è accaduto: la manovra a tenaglia per cacciare Mescolini è riuscita. Anche se il Consiglio di Stato ha riscritto la storia, il danno è fatto, attenuato solo dall’arrivo a Reggio come procuratore capo di un magistrato dello spessore di Calogero Gaetano Paci.
E dire che lo stesso Csm, nella delibera del febbraio 2021 con cui trasferiva Mescolini da Reggio e dall’Emilia Romagna, spiegando quali sono le circostanze in cui si configura l’incompatibilità ambientale, metteva in guardia da un rischio: quello, si leggeva nella delibera, dei “casi in cui sia ravvisabile un disegno preordinato a creare le condizioni per allontanare il magistrato”. La verità era sotto gli occhi.
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