REGGIO EMILIA – Se c’è un ambito che costituisce un simbolo del lavoro nero è quello delle collaboratrici domestiche. Sono innumerevoli i casi di donne, per lo più straniere e dell’Est Europa, che operano, anche solo per qualche ora alla settimana, nelle abitazioni di migliaia di reggiani per le pulizie oppure per stirare e lo fanno senza alcun contratto, a cifre che oscillano tra i 10 e i 13 euro all’ora.
Non solo nel nostro territorio si stanno, però, moltiplicando i casi di azioni legali: le colf a ore, venuto meno il rapporto di fiducia oppure per un proprio personale tornaconto, denunciano e chiedono il versamento di contributi, ferie, permessi e Tfr. Spesso, tuttavia, sono le stesse colf a rifiutare la regolarizzazione, perché? “Generalmente sono persone che hanno un contratto presso una famiglia e poi, nel giorno di riposo o nelle ore libere, arrotondano in altre case per cui non risulta conveniente per loro farsi mettere in regola e, a volte, non è neppure possibile. Inoltre, è più invitante percepire subito la cifra in nero che non quella prevista da un contratto”, spiega Alessandro Martignetti, segretario generale della Fisascat Cisl Emilia Centrale.
Quali consigli si possono rivolgere a una famiglia che ha bisogno di un supporto solo di qualche ora settimanale o saltuario? “L’indicazione è quella di regolarizzare, sempre”. Come è possibile incentivare, da parte dello Stato, l’emersione del lavoro irregolare in questo ambito?
“Si devono, ovviamente, creare condizioni più favorevoli alle famiglie”.