REGGIO EMILIA – Torniamo a parlare di aziende ceramiche, certamente tra le più energivore. Per affrontare l’aumento dei costi delle utenze ci sono realtà che hanno ridotto la produzione. Per i loro dipendenti è scattata la cassa integrazione. Trecento i lavoratori del comparto, nella nostra provincia, coinvolti da questo strumento.
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“Circa trecento lavoratori sul nostro territorio, ma si tratta di numeri che potrebbero diventare preoccupanti”. Così Erica Morelli, segretario provinciale della Filctem Cgil.
Riavviare oppure no la produzione dopo le ferie? Se lo sono chiesti gli imprenditori del settore ceramico. A prevalere è stata una ripresa in gran parte regolare delle attività. Almeno così risulta guardando agli stabilimenti reggiani. In pochi casi, ad esempio, si sono registrati prolungamenti dei periodi di ferie calendarizzati. A dirlo è la Filctem Cgil, sigla che si sta occupando delle ricadute dei rincari energetici sui circa 4mila lavoratori reggiani del comparto. Richieste di cassa integrazione, motivate dall’aumento di tali costi, sono state formulate finora per un totale di 300 dipendenti. Settanta di questi li conta l’impianto di Roteglia della Fincibec, società di Sassuolo. Ottanta sono a Rubiera, in forza allo stabilimento del Gruppo Italcer-Ceramica Rondine. Nello stesso comune, all’Antica Ceramica Rubiera, l’integrazione salariale riguarda 32 persone, mentre altre 23 sono interessate a Castellarano presso la Cotto Petrus.
“In assenza di risposte concrete dal Governo, sono loro che pagheranno il prezzo più alto con evidenti ricadute sulla tenuta sociale”, continua Morelli. Le prime domande risalgono alla fine di agosto e il periodo di utilizzo dello strumento è di 13 settimane prorogabili. “Arriveranno anche nei prossimi mesi altre richieste”.
Il ricorso alla cassa integrazione ordinaria nelle ceramiche reggiane si è visto anche sei mesi fa, quando aveva coinvolto 700 addetti. All’epoca, motivo della crisi era, oltre ai prezzi impennati delle utenze, la difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime, dovuta alle conseguenze del confitto in Ucraina. Tra queste la principale è l’argilla, che ora viene importata dalla Germania e dalla Turchia con livelli qualitativi inferiori a quella che proveniva dell’ex Paese dell’Unione Sovietica.
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