REGGIO EMILIA – La luce fioca delle candele, l’atmosfera ovattata che contrasta con la freddezza dei lunghi corridoi e delle celle appena fuori: siamo dentro al carcere di Reggio nello spazio trasformato in un teatro.
I volontari del centro MaMiMò hanno messo in scena lo spettacolo ‘La Casa del Cielo’ e hanno condiviso il palcoscenico con tre detenute transgender del reparto Orione della casa circondariale. Benedetta, Bianca, Dany, Lara, Jeane, Morena e Nicole hanno portato il pubblico in un tempo e un luogo lontani, tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Hanno interpretato le sacerdotesse di uno dei santuari eretti in onore di Afrodite.
“Erano luoghi chiusi, come è chiuso il luogo del carcere – racconta Cecilia Di Donato, regista e responsabile di area Teatro Sociale MaMiMo – Noi ci siamo immaginate che queste donne, all’interno di questi luoghi, piano piano stando rinchiuse comincino a dimenticare chi sono e solo nell’incontro con gli altri, in questo caso con il pubblico, potranno ricordare chi erano ma un chi erano nuovo: un chi erano che contiene quello che è stata la loro vita precedente ma arricchita dall’esperienza del teatro e anche del carcere”.
Lo spettacolo è nato dal laboratorio che nei mesi scorsi ha coinvolto volontari, detenute e operatori penitenziari, promosso dal Comune di Reggio insieme agli Istituti Penitenziari. Il 12 dicembre alle 18,30 è in programma l’opera ‘Una vite è caduta a terra’ con protagonisti i detenuti del reparto maschile. Il teatro che diventa una forma di espressione e di rinascita.
“Questo è un modo di regalare la possibilità a queste persone di esprimersi in maniera diversa – evidenzia ancora Cecilia Di Donato – Poi per tante di loro che usufruiscono della terapia psicologica, attraverso il teatro non ne fanno più uso per avere una consapevolezza maggiore di se ma anche per poter godere di quello che naturalmente genera il teatro. E poi il teatro allena l’empatia: sia per noi come MaMiMò che entriamo, con i nostri volontari che recitano insieme alle detenute, che per loro, speriamo sia un viatico per quando usciranno per non entrare mai più qui dentro”.
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