REGGIOLO (Reggio Emilia) – Sul sequestro dell’imponente capannone di Reggiolo in via Rame, nella zona industriale e a poca distanza dal casello dell’A22, pesano due diverse valutazioni che attestano realtà che sembrano opposte.
Da un lato, quella dei carabinieri forestali secondo i quali l’immobile, di proprietà di un fondo d’investimento immobiliare, sarebbe stato costruito su un terreno imbottito di rifiuti pericolosi. Il sindaco di Reggiolo, Roberto Angeli solleva però qualche dubbio. Spiega che già all’inizio dell’anno, tra gennaio e febbraio, l’ente pubblico si era affidato a una nota società di Reggio Emilia che si occupa di studi ambientali, per capire la reale situazione di quel terreno e avere una valutazione attendibile. Il risultato era stato conforme a quanto stabilito dalle norme.
Le analisi in mano al Comune si sarebbero concentrate sul tipo di materiale e se questo poteva essere riutilizzato, non su una valutazione ambientale e sulla tipologia di rifiuti. Tutto ruota attorno a questo. L’inchiesta della procura, partita a settembre del 2021, parla di 15mila tonnellate di scarti di costruzione ritenuti pericolosi seppelliti lì sotto.
Andando a ritroso nella storia di quell’appezzamento si risale al 1990: il terreno era già edificabile a destinazione produttiva e di proprietà della Cooperativa Muratori Reggiolo. Dopo molti anni, il Comune aveva accolto positivamente questa iniziativa imprenditoriale. E così arriviamo ai giorni nostri: per gli uffici comunali la costruzione risulta regolare e gode di tutti i permessi rilasciati tra marzo e aprile del 2021, così come quelli per le opere di urbanizzazione. Ma ora le indagini gettano una luce diversa. Allo stato attuale, parte dell’immobile è sotto sequestro e quattro persone risultano indagate. Denunciato per abuso d’ufficio anche il responsabile tecnico del Comune della Bassa.
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