REGGIO EMILIA – Circa il 45% dei proventi annui e più della metà del patrimonio netto: è questo il contributo che il nostro ente camerale porterebbe alla nuova Camera di Commercio dell’Emilia, che dovrebbe nascere dalla fusione fra gli enti di Reggio, Parma e Piacenza.
I non addetti ai lavori potrebbero pensare che sia Parma a giocare la parte del leone nell’accorpamento, ma non è così. E forse proprio questo elemento contribuisce a spiegare le ragioni per le quali un’operazione che sembrava ormai fatta si è impantanata al punto da esporre ora le Camere di Commercio al rischio di un commissariamento da parte del ministero.
Ecco i numeri. Nel 2019 la Camera di Commercio di Reggio ha incassato diritti annuali, di segreteria e altri proventi per 10,6 milioni rispetto agli 8 di Parma e ai 5,1 di Piacenza. Sul fronte della gestione corrente, l’ente nostrano sembra essere quello più in salute, con un avanzo di quasi 1 milione di euro, a fronte dei 105mila euro di Parma e del disavanzo di 188mila di Piacenza. Il risultato netto è comunque positivo per tutte e tre le Camere. Reggio primeggia anche per patrimonio netto: con 35,9 milioni è quasi il doppio di Parma (18,5); più staccata Piacenza con 16,4 milioni.
Nonostante questi numeri, gli accordi stipulati a suo tempo avevano assegnato a Parma la sede legale e avevano distribuito in modo pressoché paritetico i posti nella giunta e nel Consiglio camerale. Ma il processo di aggregazione si è arenato lo stesso per la retromarcia di Parma. La determinazione con cui si dava avvio alla costituzione formale della Camera di Commercio dell’Emilia risale all’1 marzo 2018. Sono trascorsi due anni e mezzo e tutto è rimasto come prima.
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