REGGIO EMILIA – Le reazioni politiche e i commenti all’assoluzione definitiva dell’ex capogruppo di Forza Italia in Sala del Tricolore Giuseppe Pagliani meritano una riflessione sul rapporto fra politica, magistratura e criminalità organizzata.
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Nel dibattito pubblico reggiano ed emiliano si dà in genere per scontato che tutti pensino che la Direzione distrettuale antimafia abbia svolto e svolga un ruolo importante e positivo nel contrasto alla criminalità organizzata, conducendo indagini che hanno consentito di mettere alle strette le cosche, di assicurare alla giustizia centinaia di mafiosi e loro complici e di sequestrare ingenti patrimoni. Ma in realtà non tutti la pensano così. I commenti seguiti all’assoluzione di Giuseppe Pagliani sono in questo senso illuminanti. C’è un pezzo della politica locale che pensa che la Direzione distrettuale antimafia e la Procura di Bologna siano costituite da magistrati in malafede, che per pregiudizio politico hanno mosso accuse infondate contro persone innocenti e che per la stessa ragione hanno tenuto fuori dalle inchieste i veri colpevoli.
All’inizio di aprile, quando la procuratrice generale d’Appello di Bologna Lucia Musti fu vittima di gravi atti intimidatori, il coordinatore bolognese di Forza Italia, Aldo Marchese, espresse piena solidarietà al magistrato: “Chi è preposto alla difesa della legalità – assicurò – avrà sempre il nostro pieno e incondizionato sostegno”. Ma è davvero così? Nelle ultime ore la stessa Procura generale d’appello, colpevole di aver promosso un anno fa il ricorso contro l’assoluzione di Pagliani, è stata descritta da numerosi esponenti del centrodestra come esempio della “malagiustizia politicizzata italiana”, artefice di un “colpo di mano giudiziario” e mossa da motivazioni politiche “nauseanti”.
Volendo fare nomi e cognomi, dunque, chi sono questi magistrati persecutori di innocenti? Naturalmente Marco Mescolini, che con le sue indagini ha dato il via a processi per associazione mafiosa conclusi con centinaia di condanne. Ma anche i procuratori generali di Bologna Roberto Alfonso e Giuseppe Amato, coordinatori delle indagini antimafia nell’ultimo decennio. Oppure la stessa Musti, pubblica accusa nei processi d’appello Aemilia e Grimilde. Umberto Palma e Nicola Proto, che chiesero e ottennero la condanna di Pagliani nel primo processo d’appello e che hanno rappresentato l’accusa nel processo sui mandanti della strage di Bologna. E ancora Beatrice Ronchi, che ha indagato sugli affari dei Grande Aracri a Brescello, sui delitti di ‘ndrangheta del 1992 e sulle attività del clan Sarcone dopo il 2015. Per una parte della politica reggiana ed emiliana i cattivi sono loro.
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