REGGIO EMILIA – Il 12 febbraio 1951 è considerato la data di nascita della moda italiana. Quel giorno di 70 anni fa l’imprenditore Giovanni Battista Giorgini inventava lo spettacolo delle sfilate fiorentine alla presenza di importanti acquirenti americani. E proprio in quell’anno, 1951, Achille Maramotti dava vita a Max Mara, trasformando in vero e proprio marchio la modesta ditta Confezioni Maramotti che aveva iniziato l’attività con due allieve della scuola di sartoria che la madre, Giulia Fontanesi, gestiva al mercato coperto della città.
Appena laureato, aveva scelto le confezioni femminili per la sua idea imprenditoriale. Fu un precursore del pret-a-porter, della moda pronta, con capi di qualità disegnati da stilisti ma a prezzi costanti. Fu subito un successo. Nel 1953 l’azienda fu trasferita in piazza San Lorenzo, in un garage di 150 metri quadrati; nel 1955 in uno stabilimento di 3mila metri quadrati in via IV Novembre; nel 1957 a Pieve, dove oggi i figli hanno allestito una galleria di arte contemporanea.
Intanto, Maramotti faceva viaggi di studio negli Stati Uniti importando sistemi industriali nel processo di fabbricazione dei suoi cappotti. Adottò dagli Usa un’organizzazione del lavoro a cottimo individuale, che lo mise in conflitto con le organizzazioni sindacali e con la stessa Confindustria da cui uscì accusandola di essere troppo arrendevole e rifiutando i contratti nazionali.
La crescita di Max Mara è stata continua, anche dopo la morte del fondatore avvenuta nel 2005. Oggi conta 9 marchi principali e 60 diverse collezioni, un moderno quartier generale a Mancasale, 41 società nel gruppo, 5.500 collaboratori, 2.500 negozi monomarca in 105 Paesi del mondo, 1 miliardo e 600 milioni di fatturato. La pandemia da Covid ha fatto danni a tutto il settore abbigliamento, ma il colosso finora ha retto all’urto.
Gian Piero Del Monte
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