REGGIO EMILIA – La Procura antimafia di Bologna non ha impugnato la sentenza di non luogo a procedere emessa dal gup Roberta Malavasi nei confronti dei due ex sindaci di Brescello, cioè il 56enne Giuseppe Vezzani (difeso dagli avvocati Valeria Miari ed Alessio Fornaciari) e il 54enne Marcello Coffrini (tutelato dai legali Mario L’Insalata ed Eleonora Ciliberti). Lasciati scadere i termini d’impugnazione, non si va in Appello e cade, quindi, definitivamente per entrambi gli ex amministratori la delicata accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Resta perciò scolpito nella roccia il passaggio-chiave che si legge nelle motivazioni della sentenza in cui il giudice spiega come a Brescello non sia “improbabile che l’azione amministrativa abbia prodotto un arricchimento della consorteria criminale, ciò che resta sfornito di prova è che gli imputati abbiano agito nella consapevolezza e nella volontà di realizzare quel risultato”.
Sempre relativamente alla consapevolezza, il giudice scrive che “l’impianto probatorio si mostra insanabilmente carente sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, che presuppone anche la volontà di apportare un contributo. Ciò che difetta – prosegue il magistrato giudicante dell’udienza preliminare – è la prova di collegamenti diretti fra gli imputati e l’organizzazione, indicativi di un accordo collusivo”. In questo filone giudiziario marchiato ‘ndrangheta, frutto di un’articolata inchiesta della pm antimafia Beatrice Ronchi su fatti brescellesi che vanno dal 2004 al 2014, sono finite a processo dodici persone: sinora solo Vezzani e Coffrini hanno ottenuto il proscioglimento, mentre nove imputati hanno patteggiato per reati minori ma con l’aggravante mafiosa. Resta infine ancora in piedi la posizione della 42enne Rosita Grande Aracri, figlia di Francesco e nipote del boss Nicolino. Per lei, accusata di associazione mafiosa, chiesti dalla pm Ronchi otto anni di reclusione. A fine mese la parola passa alla difesa. Sentenza prevista a settembre.
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