REGGIO EMILIA – Non mancano mai i misteri quando di mezzo c’è Paolo Bellini, il killer reggiano ora 71enne, entrato dagli anni Settanta nelle storie più oscure e sanguinarie d’Italia. In giugno è stato condannato all’ergastolo anche in Appello, perché ritenuto il quinto uomo dell’eversione nera che partecipò il 2 agosto 1980 alla strage nella stazione di Bologna, costata la vita a 85 persone e il ferimento di altre duecento. Una sentenza che aveva atteso in carcere a Spoleto, dopo aver gridato la sua innocenza per quasi tre ore nell’ultima udienza. Ma da Spoleto, in agosto, l’ex esponente di Avanguardia nazionale è stato all’improvviso trasferito nel carcere cagliaritano di Uta.
Perché questo spostamento apparentemente punitivo? Ufficialmente non sono emerse spiegazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Né i due avvocati difensori Antonio Capitella e Manfredo Fiormonti, né la nuova famiglia di Bellini, erano al corrente di questo trasferimento. Si sono così susseguiti giorni convulsi, con l’ex Primula nera che ha reagito annunciando il proposito di togliersi la vita, rinunciando ai farmaci con cui combatte da tempo una seria malattia. Poi il tutto rientra con il ricovero nel Centro diagnostico terapeutico del carcere sardo dove si trova tuttora. Ma il braccio di ferro è ancora in atto. Da una parte i due difensori che, in punta di diritto, premono affinché Bellini venga spostato in un carcere più sicuro, con annessa sezione speciale per i collaboratori di giustizia usciti dal programma di protezione. Dall’altra lo stesso Bellini che non solo teme sia in atto un’azione per eliminarlo e chiede di essere trasferito, ma ha pure fatto richiesta di essere sentito da parte della Commissione parlamentare antimafia per riferire sulle stragi mafiose del 1992-93 e sulla bomba alla stazione di Bologna, alludendo a vicende segrete.
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