BOLOGNA – “Se io avessi arte e parte nella strage di Bologna, come collaboratore (dello Stato) avrei chiesto miliardi. Avrei chiesto di andare sulla luna e mi ci avrebbero portato. Ma io non ho niente a che spartire con questa situazione”.
Sono le parole che Paolo Bellini ha pronunciato davanti alla Corte d’Assise di Bologna, alla ripresa del processo sui mandanti della strage alla stazione del 2 agosto 1980. Nel corso dell’udienza l’ex militante di Avanguardia nazionale, imputato con l’accusa di concorso perché considerato uno degli esecutori materiali, ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Ha ripercorso la sua latitanza, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, raccontando i guadagni fatti in Brasile con il nome di Roberto Da Silva e di come è tornato in Italia per prendere il brevetto da pilota. Ha parlato dell’incontro con l’allora procuratore capo di Reggio Emilia Elio Bevilacqua, definito dall’ex moglie amichevole. “Non è stato fraterno, anzi – ha detto Bellini -. Era il 1986, sapevo che era massone da una vita. L’ho stretto e in un orecchio gli ho sussurrato: ‘ti porto i saluti del fratello Calvi”’. Una sorta di intimidazione quindi, tramite il riferimento al banchiere Roberto Calvi, iscritto alla loggia P2, trovato morto a Londra nel 1982.
Il presidente della Corte d’Assise Caruso ha invitato l’imputato a chiudere in tempi rapidi: “Sta raccontando di aver imbrogliato tutta la vita tutto il mondo, perché proprio in questo momento dovrebbe dire la verità?”. Bellini ha concluso l’intervento dicendo che nelle prossime udienze farà dichiarazioni mirate.
Reggio Emilia Bologna processo bomba Paolo Bellini strage di BolognaPaolo Bellini, in aula a Bologna i particolari della “rete di protezione”. VIDEO