REGGIO EMILIA – Si trova nel supercarcere di Spoleto Paolo Bellini, 70 anni compiuti pochi giorni fa, il 22 giugno. La struttura penitenziaria umbra, in località Maiano, è quella in Italia dove, dopo l’Aquila, c’è la più alta concentrazione di condanne definitive in regime di 41 bis. Si tratta principalmente di detenuti di mafia. Tra loro spiccano i nomi di Giovanni Riina, figlio del superboss di Cosa Nostra, e di Leandro Greco, nipote di Michele, detto “il Papa”.
I carabinieri sono andati a prelevare ieri Bellini nella sua abitazione di Palestrina, dove era agli arresti domiciliari e dove si era stabilito da anni. Centro di 22mila abitanti a sud est di Roma, Palestrina è zona conosciuta anche per essere sotto l’influenza del clan Casamonica. Un arresto, quello del criminale reggiano, motivato non dal pericolo di fuga, ma dal fatto che stesse progettando di commettere reati. Voleva vendicarsi e voleva uccidere la ex moglie Maurizia Bonini che, nel processo sulla strage di Bologna in cui è stato condannato in primo grado all’ergastolo, aveva testimoniato contro di lui.
Intercettato, Bellini parla della somma di 50mila euro pagata per far fuori un componente della sua famiglia. Secondo i giudici lo stesso Bellini avrebbe preso informazioni sul figlio del giudice Francesco Caruso, progettando una vendetta trasversale per colpire il magistrato, più volte chiamato sprezzantemente “Pol Polt” o “cambogiano”.
Altro che un pensionato dell’eversione, Bellini. Nell’ordinanza i magistrati rimarcano il suo “elevatissimo spessore criminale” e la sua “rilevante pericolosità”. Ma perché Bellini era sotto intercettazione? A tenerlo monitorato erano le Dda di Caltanissetta e Firenze, che indagano sulle stragi di Capaci e sulle bombe del ’92 e del ’93 di Firenze, Milano e Roma.
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