REGGIO EMILIA – L’industria manifatturiera reggiana è molto più in salute di come ce la immaginiamo. La considerazione forse non è valida per tutti i settori, ma vale sicuramente per quello metalmeccanico, che rappresenta la forza trainante dell’economia reggiana in termini di ricavi, esportazioni e occupazione.
Prima i fermi produttivi causa Covid, poi le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e da ultimo gli aumenti delle materie prime e dell’energia ci avevano indotto a credere che molte aziende della nostra provincia fossero in grave difficoltà. Un’accurata indagine della Fiom di Reggio contraddice questa visione e dimostra che per fortuna non è così.
La Fiom ha analizzato i bilanci di 857 aziende metalmeccaniche per gli anni che vanno dal 2016 al 2021. Il risultato di questa analisi così corposa è almeno in parte sorprendente: non soltanto i ricavi in 5 anni sono cresciuti del 54%, ma i profitti netti aggregati sono passati da 260 milioni a 687. Queste aziende fra il 2016 e il 2021 hanno accumulato complessivamente più di 2,5 miliardi di utili. E se i profitti sono aumentati del 164%, il costo del personale – ciò che le aziende spendono per pagare stipendi, contributi e tasse – è cresciuto del 32%. Un dato, quest’ultimo, che naturalmente è influenzato anche dalla crescita del numero degli occupati.
Un altro indicatore è molto significativo. Nel 2016 il 63% del valore aggiunto si trasformava in stipendi, nel 2021 la percentuale è scesa al 54%. Nello stesso arco di tempo la quota di valore aggiunto che è andata agli azionisti sotto forma di utili è passata dal 15 al 26%. Naturalmente c’è anche chi fa fatica: l’anno scorso il 15% delle imprese del campione non ha realizzato utili. Ma il quadro complessivo è un altro e dice che i profitti crescono, i salari no.
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