REGGIO EMILIA – Avvocati che, per ragioni extra-professionali, vanno a cena con imprenditori in odore di mafia e, in un caso, vanno ad incontrare un boss di ‘ndrangheta sotto processo nella sede della sua ditta. Avvocati che portano fuori dal carcere lettere di minacce mafiose e si adoperano affinché siano pubblicate sui giornali. Avvocati che, durante il controesame in aula di un collaboratore di giustizia, gli dicono di essere a conoscenza della sua nuova identità per condizionare le sue dichiarazioni. Le indagini e i processi Aemilia e Grimilde hanno messo in luce, da parte di alcuni esponenti dell’ordine forense, comportamenti che si collocano sul confine della legalità e talvolta anche oltre.
In maggio, con sentenza della Cassazione, è divenuta definitiva la condanna dell’avvocato Luigi Antonio Comberiati, che nel 2016 consegnò al Carlino Reggio una lettera scritta in carcere dal suo assistito Pasquale Brescia contenente minacce di stampo mafioso al sindaco di Reggio. Nei giorni scorsi, invece, il Tribunale di Reggio ha condannato in primo grado a 2 anni l’avvocato Francesco Piccolo. Durante un’udienza del processo Grimilde, nel luglio dell’anno scorso, il legale, difensore di Francesco Grande Aracri, si era rivolto al collaboratore di giustizia Antonio Valerio dicendogli: “Non sappiamo come si chiama oggi. Io penso di saperlo però”. Una frase che ha fatto gelare il sangue al procuratore capo: “Dopo un fatto come questo – ha detto Paci martedì durante la sua requisitoria – c’è solo il mitra”.
L’avvocato Francesco Piccolo ha seguito anche il processo Aemilia. Era in quel caso il difensore di un imputato di secondo piano, Francesco Scida, che era accusato di essere un prestanome di Pino Giglio. Fu proprio l’avvocato Piccolo a citare come testi il sindaco Luca Vecchi e la moglie Maria Sergio. I due non sapevano nulla di Scida, ma furono ascoltati in aula nel luglio 2017. Piccolo li tempestò di domande sulle pressioni che avevano subito dalla criminalità organizzata. L’obiettivo del legale era quello di dimostrare che la ‘ndrangheta non c’era. Invece c’era.
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