REGGIO EMILIA – E’ possibile un grande investimento congiunto cinese e americano in una fase in cui Repubblica Popolare e Stati Uniti si guardano in cagnesco? A questa domanda, un anno fa, la numero uno di Silk Faw Katia Bassi rispose di sì. Forse hanno ragione lei e gli altri dirigenti della società che, mentre i rapporti tra Stati Uniti e Cina diventano sempre più incandescenti, continuano ad assicurare che il progetto va avanti. O forse hanno ragione coloro che dicono che, al di là delle dichiarazioni di facciata, in realtà ormai l’investimento su Reggio Emilia è di fatto tramontato.
L’assessore regionale alle Attività produttive, Vincenzo Colla, è pessimista, ma dice che Silk Faw ha già speso almeno 50 milioni di euro per il progetto reggiano. E il Sole-24 Ore scrive che la società ha già versato 8 milioni di caparra per i terreni lungo l’autostrada su cui dovrebbe sorgere lo stabilimento. D’altra parte, però, è inevitabile chiedersi: ma se Silk Faw oggi fatica a pagare gli stipendi a una settantina di dipendenti, come farà domani a finanziare un investimento da 1 miliardo di euro?
Adesso c’è pure un’inchiesta della Procura. Dopo 15 anni di fragorosi crac aziendali (con buchi giganteschi non di rado accompagnati da bilanci truccati) su cui nessuno ha ritenuto di fare luce, si apre un fascicolo su Silk Faw. Si vede che proprio non è destino.
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