REGGIO EMILIA – L’arresto del super boss Matteo Messina Denaro e il processo Aemilia. La fine di una latitanza durata 30 anni, con la cattura di un capomafia corresponsabile delle strategie stragiste di Cosa Nostra, e un’indagine che ha permesso di infliggere un colpo durissimo a una cosca di ‘ndrangheta cresciuta a grande distanza dalla Calabria e che ha infine portato alla condanna di centinaia di imputati.
Nella relazione con cui ha aperto l’anno giudiziario, il primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio ha parlato anche di noi. Lo ha fatto in un passaggio in cui ha voluto sottolineare che i problemi del paese sono “pesanti e complessi”, ma la situazione “non è così fosca e irrecuperabile come spesso viene presentata. Cogliere i miglioramenti su questioni fondamentali – ha aggiunto il presidente Curzio – è importante”.
E qui è arrivato il duplice riferimento a Messina Denaro e alla cosca Grande Aracri. “Anche con la criminalità organizzata, a cominciare da quella di stampo mafioso – ha detto il presidente della Corte di Cassazione – i passi avanti sono evidenti, e ne abbiamo avuto conferma di recente con un arresto importante, non solo nel contrastare strategie che hanno insanguinato il paese in anni terribili, ma anche nel cogliere mutazioni verso forme altrettanto pericolose, sebbene meno visibili, volte ad inquinare settori sani della società civile e dell’economia e ad estendersi verso zone del paese diverse da quelle originarie, come emerge, ad esempio, dal processo Aemilia, conclusosi con la sentenza del 7 maggio 2022 della nostra Corte”.
Un bel riconoscimento per i giudici che, in primo grado e in appello, a Reggio e a Bologna, hanno condotto i dibattimenti, emesso i verdetti e scritto le sentenze. Un bel riconoscimento anche per i sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, a partire da Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, che hanno fatto le indagini e hanno rappresentato la pubblica accusa in aula. Un giudizio, quello del presidente della Suprema Corte, diverso e lontano da quello di chi accusa i magistrati della Dda di avere inquisito alcuni imputati per motivi politici e di chi sostiene che non si è indagato sui veri responsabili.
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