REGGIO EMILIA – Terza e ultima puntata del nostro approfondimento a dieci anni di distanza dalla chiusura dell’inceneritore di Reggio. Analizziamo un aspetto importante, su cui però non c’è una risposta inequivocabile.
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Ci può essere la curiosità di verificare in quale misura lo spegnimento dell’inceneritore di Cavazzoli ha influito sulla qualità dell’aria nel nostro territorio
Rispondere a questa domanda non è semplice come potrebbe sembrare. La serie storica dei monitoraggi di Arpae nelle centraline della città mostra un tendenziale miglioramento della qualità dell’aria nel capoluogo. La riduzione dei valori medi e massimi delle emissioni inquinanti e dei giorni di superamento dei limiti è però iniziata nel 2006, dunque sei anni prima della chiusura dell’impianto di Cavazzoli. I valori medi delle polveri fini Pm10 sono passati da 35 a 30 microgrammi per metro cubo, quelli degli ossidi di azoto da 40 a 26, con una caduta a 22,5 nel 2020, in coincidenza del lockdown. Si sono poi registrati anni in controtendenza, che hanno segnato un peggioramento della qualità dell’aria, come il 2012 (l’anno successivo allo spegnimento dell’inceneritore), il 2015 e il 2017.
I Rapporti annuali curati da Arpae dal 2011 ad oggi non mettono mai la riduzione delle emissioni in relazione con la cessazione dell’attività dell’impianto di via dei Gonzaga. Miglioramenti e peggioramenti della qualità dell’aria vengono invece spiegati con le condizioni meteorologiche. Bisogna anche tenere presente che, secondo le stime di Arpae, il 34% delle Pm10 in Emilia-Romagna proviene dal traffico, il 20% dal riscaldamento, il 19% da agricoltura e zootecnia, il 16% dall’industria e il 3% dalla produzione di energia. Gli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti avrebbero invece un ruolo trascurabile, con un’incidenza massima dello 0,4% sugli ossidi di azoto.
In ogni caso, non sono stati effettuati studi specifici sugli effetti ambientali dello spegnimento dell’impianto di Cavazzoli. A Parma invece è stato condotto un lungo monitoraggio sul termovalorizzatore, prima e dopo l’accensione nel 2014. L’impianto tratta 160mila tonnellate di rifiuti all’anno, quasi il triplo rispetto al vecchio inceneritore di Reggio. Il confronto nel tempo ha evidenziato la sostanziale stabilità delle emissioni sia di polveri fini che di ossidi di azoto.
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