REGGIO EMILIA – Un cartellone bianco è fissato con del nastro adesivo sulla tenda. Sopra una scritta rossa a pennarello: “Psicologia dell’emergenza Regione Emilia Romagna”. Seduta sotto uno di quei punti di accoglienza c’è anche Laura Torricelli, psicologa dell’emergenza dell’Ausl di Reggio Emilia che è corsa tra Sant’Agata e Conselice, nel Ravennate, per soccorrere le persone colpite dall’alluvione che ha devastato la Romagna. Il progetto è stato voluto dalla Regione per evitare che i traumi si trasformino in disturbo post traumatico da stress. Con 123 psicologi al lavoro, ha coinvolto le Aziende sanitarie e Sipem, Croce rossa, Emdr Italia e Psicologi per i popoli.
Torricelli, qual è stata la prima cosa che avete fatto una volta arrivati sul posto?
Una ricognizione per comprendere la situazione. In parallelo, negli hub in cui erano ospitati gli sfollati si tenevano colloqui con psicologi esperti per monitorarne lo stato.
Un lavoro di rete.
Sì, c’era l’esigenza di capire i bisogni della popolazione. E soprattutto, nella prima fase, era necessario che le persone arrivassero a noi.
Che situazione ha trovato a Sant’Agata?
Il fango ricopriva tutto, senza distinguo: anche i giochi per i bambini. Non s’era salvato un centimetro di paese. Un’apocalisse sconvolgente.
E a Conselice?
Lì è arrivata l’acqua. Non il fango. In generale, come dicevo, s’attiva una rete a disposizione dei cittadini: dalle tende sulla strada e punti di ascolto. Tutto per avere un contatto diretto tra persone e la rete dei soccorsi.
Come si soccorre chi chiede aiuto?
Prima chiariamo che non si tratta di un trauma personale, ma collettivo. Questo implica un approccio per rielaborare le memorie traumatiche. Mi spiego: la prossima volta che pioverà, chiunque, sfollati e no, residenti e no, potrà essere conquistato da angosce e paura.
Cioè?
Anche chi non ha avuto danni diretti, ma vede il luogo di nascita devastato, soffre.
Il suo lavoro è in contesti d’emergenza. Si trovava in centro Italia durante il terremoto e ha attraversato da operatore sanitario il periodo del Covid. Quali differenze ci sono?
Il Covid è stato drammatico. Ho dormito per mesi in una stanza lontana dalla mia famiglia. Con un terremoto ci convivi. Chi abita in una zona a rischio sismico sa che potrebbe riaccadere. Quindi la paura è costante. Un’alluvione è diversa. Anzitutto perché l’acqua arriva ovunque. E poi perché finita la paura, resta l’incredulità per la devastazione, la rabbia. Si attivano meccanismi psicologici diversi.
Per esempio?
Ci sono eventi neutri che, riecheggiando l’alluvione, possono creare attacchi di panico a medio lungo termine anche in altri cotesti. Per il rumore dell’acqua anche farsi la doccia può risultare impossibile.
C’è un’immagine di quei giorni dell’alluvione che le rimarrà impressa in mente più di altre?
Una ragazzo. Disperato. Il telefono era scarico per via del blackout prolungato. Lui stava messaggiando con uno dei due figli dei vicini di casa che si erano spostati dalla nonna. L’interruzione della chat l’ha portato a immaginarsi che l’acqua fosse salita fino al piano di sopra e qui avesse sommerso l’amico. Non riusciva a togliersi quell’immagine dalla testa pur non avendo vissuto il terrore dell’acqua.
Lei prima parlava di prima fase. Ora, invece, in che fase siamo?
Stiamo passando alla seconda.













