REGGIO EMILIA – Non siamo abituati, a notizie del genere. E in molti forse fanno fatica a percepirne il senso. Anche Alessandro ci ha messo un po’ a dare una direzione alle sue sensazioni. “Alessandro Spanò, capitano e simbolo della Reggiana fresca di promozione in B, l’idolo di una città, lascia il calcio e decide di studiare all’estero”.
Abbandona. Il calcio. All’apice. Non è una tragedia, questa. Non è un fatto che ci colpisce perché molto doloroso o, al contrario, molto divertente. Non è choccante. Eppure, per un attimo blocca e poi emoziona. Quando in mattinata la società ha convocato una conferenza stampa col capitano era abbastanza evidente che non si potesse trattare solo del rinnovo del contratto, che fino a ieri pareva una formalità. C’era qualcosa di diverso. C’era molto silenzio quando Spanò è entrato, quando si è seduto al tavolo. E le sue parole sono state brividi. Belli. Bellissimi. Dovrebbero fare il giro delle scuole.
Allora “si può”, abbiamo pensato senza dircelo, allora non è il “mito del sogno” a fare una persona, ma il contrario. Allora passione, sacrificio e preparazione, quando esistono, non sono al servizio di un obiettivo solo, ma dentro all’individuo e a tutti i suoi spazi.
Alessandro Spanò ha avuto un enorme coraggio e se qualcuno storcerà il naso a sentire associare questa parola a un giovane di successo che aveva davanti a sé due strade, una più promettente dell’altra, pazienza. Il coraggio silenzioso dell’uomo normale, che alla ribalta sempre e comunque preferisce il percorso un po’ più in ombra per inseguire “il suo vero significato”, come ha detto lui. A 26 anni non è una cosa banale. E infatti, lui, banale non lo è mai stato.
Riservato, elegante, di spessore. Difensore col vizio del gol che, arrivato dalla Pro Patria, alla Reggiana ha dato sei anni e mezzo ginocchio stando con lei nel fallimento, nella rinascita e nella promozione. E infatti i tifosi granata hanno perso il loro capitano, ma stanno riempiendo i social di tutti i migliori auguri per il suo futuro diverso. Spanò si scrive una lettera, su Facebook. Scrive al se stesso bambino. Al “piccolo Ale”, dice, perché lui è di Giussano. A Reggio sarebbe “Alle”, perché noi raddoppiamo tutto. Ricorda a se stesso i primi calci all’oratorio, le partite al freddo, il borsone pesante, la vicinanza della sua famiglia. Ricorda a se stesso il colore della sua pelle, granata. E che i bambini sono un po’ folli e vanno incontro al futuro senza paura.
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