Al maneggio dei Brescia sia ‘ndranghetisti che forze dell’ordine. VIDEO

REGGIO EMILIA – Uomini di ‘ndrangheta, poliziotti e carabinieri: ai bei tempi si ritrovava tutto l’arco costituzionale, per così dire, al New West Ranch dei fratelli Pasquale, Luigi e Francesco Brescia.

In quel maneggio abusivo realizzato a Cella si incontravano e si divertivano guardie e ladri, tutori della legge e uomini delle cosche. Questo almeno ha raccontato ai magistrati Antonio Valerio, ‘ndranghetista di spicco divenuto poi collaboratore di giustizia. Al maneggio dei fratelli Brescia, ha detto Valerio, “tra poliziotti e carabinieri ce n’erano un’infinità”. Per gli amici dei Brescia nelle forze dell’ordine, il New West Ranch era un piccolo paradiso: “Loro – ha spiegato Valerio – pagavano solo il sostentamento del cavallo, il maneggio era gratuito”.

Chi frequentava la struttura di via Croci? Valerio non ha fatto nomi, ma le relazioni di Pasquale Brescia con settori delle forze dell’ordine sono un dato accertato dal punto di vista storico e giudiziario. Domenico Mesiano, l’assistente capo del questore e in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, non era l’unico interlocutore.

L’impresa edile di Pasquale Brescia aveva eseguito in più occasioni lavori di manutenzione e ristrutturazione in questura. All’inizio del 2008 l’imprenditore si era visto ritirare il porto d’armi a causa di un’aggressione a mano armata. Ciononostante, pochi mesi dopo, Pasquale Brescia partecipò in questura alla festa d’addio al questore Gennaro Gallo. Insieme a lui c’erano Giuseppe Iaquinta, Alfonso Paolini e Antonio Muto. E anche la cena di saluto al questore Gallo – presente una dozzina di dirigenti della questura – si svolse nel ristorante di proprietà di Pasquale Brescia, Antichi Sapori.

Quando Brescia chiese di riavere il porto d’armi, il via libera fu firmato dal questore Gallo in persona. Lo stesso accadde nel 2009 con il nuovo questore Francesco Perucatti, che firmò per il rinnovo nonostante il parere contrario del prefetto Antonella De Miro, che segnalava il rischio di collegamenti con ambienti mafiosi.

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